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Wild

Giovedì 02 Aprile 2015 10:42 Pubblicato in Recensioni
Nella vita capita spesso di pensare con leggerezza di lasciare tutti e andare a vivere nel deserto. Cheryl Straied, ora scrittrice americana di successo, lo ha fatto.  La sua incredibile storia raccontata nel libro  autobiografico Wild: from lost to found on the Pacific Crest Trail, best seller in cima alla classifica del New York Times, con la regia di Jean-Marc Vallée e il beneplacito della scrittrice,  ora è un film che nel 2014 ha ottenuto ben due nomination agli oscar. Una curiosa coincidenza vuole che Cheryl  di cognome faccia “Straied” che tradotto significa “deviata” ma anche  “vagabonda”. La ragazza per sfuggire al dolore causato dalla drammatica perdita della madre, distrugge il suo matrimonio idilliaco, vivendo tra la cocaina e il sesso occasionale, perde se stessa ma non la volontà di reagire  e dopo aver toccato il fondo, cerca una via di redenzione per tornare ad essere la persona che sua madre avrebbe sempre voluto che fosse, decide di affrontare il Sentiero delle creste del Pacifico, senza una precedente esperienza di trekking. Il suo viaggio dal deserto del Mojave verso l’Oregon  è un’odissea di solitudine dove i ricordi e gli spettri del passato non la lasciano mai in pace, le cene a base di orzo freddo le scarpe strette e il peso dello zaino la mettono a durissima prova, ma non bastano a spezzare la sua determinazione a continuare né a sollevarla  dai  sensi di colpa. Per mille e cento miglia, gli incontri sul  cammino, gli animali indiscreti, il confronto con gli altri viaggiatori le citazioni di altri scrittori da lei  lasciate nelle cassette ad ogni tappa sono metafora e prova tangibile dell’esistenza di un dio, un qualunque dio, quel dio “bastardo e senza cuore” che si diverte a giocare con lei per poi sollevarla e farle ritrovare la strada “verso la bellezza”. Emblematica è la figura della madre, un esempio positivo, una donna raggiante e piena di vita, stroncata troppo presto da un tumore, è lei che le soleva ripetere “Ogni giorno c’è un alba e un tramonto e puoi decidere di guardarli e seguire la via della bellezza”. Inconsapevolmente è lei che mette Cheryl su quel sentiero, che davanti a sé abbia un deserto, un’ “altra roccia del cazzo”o la neve invalicabile, tutto fa parte di quell'unica e speciale esperienza che farà di lei una persona nuova. La fotografia è ottima, ogni panorama fa sentire la sete del deserto e la presenza della natura. Reese Witherspoon l’attrice scelta per interpretare la protagonista somiglia moltissimo alla scrittrice, le due hanno lavorato insieme in un raro caso di collaborazione riuscita senza polemiche.  Tra gli altri riconoscimenti una nomination ai Golden Globle e una ai Bafta del 2015. 
 
Francesca Tulli
 

Into The Woods

Lunedì 30 Marzo 2015 11:08 Pubblicato in Recensioni
Into The Woods è un musical teatrale scritto da James Lapine e musicato da Stephen Sondheim nel 1986, basato sul libro “Il mondo incantato” di Bruno Bettelheim, una favola disincantata dove gli esisti dei finali classici vengono stravolti dalla bramosia dei protagonisti e riscritti da capo. La versione cinematografica di Rob Marshall con il marchio Disney ne conserva la bellezza musicale ma talvolta ne tradisce il senso. C’era una volta una strega, un mugnaio e sua moglie (James Corden e Emily Blunt), la coppia desiderava tanto un figlio, ma su di loro la perfida a buon ragione lanciò una maledizione. Dissipati i vecchi rancori e desiderosa di ottenere l’eterna giovinezza in cambio, la vecchietta promette ai giovani di dargli ciò che desiderano e di spezzare l’incantesimo a patto che da soli riescano a trovare quattro oggetti magici dentro al bosco: un mantello rosso, una scarpetta dorata, dei capelli color del grano e una mucca color del latte. E’ facile immaginare quali personaggi incontreranno. Cappuccetto Rosso è una pestifera ladra di dolci, Cenerentola una ragazza disillusa che avrebbe fatto meglio a fuggire per sempre dal ballo, Rapunzel nella torre inganna la solitudine incontrando clandestinamente il  suo amore, Jack munge il suo “mucco” con amore in attesa di trovare i fagioli magici, il lupo cattivo è Johnny Depp che per dieci minuti fa il suo show canoro e poi lascia gli spettatori.  La vera diva è Meryl Streep, nominata all’oscar come migliore attrice non protagonista per la parte della Strega, che porta meravigliosamente i suoi anni. Il regista, che aveva dato il meglio di sé adattando il musical Chicago (vincitore di sei oscar nel 2002 tra cui quello per miglior film), sembra essersi perso dentro al bosco, forse ancora “ammaliato” dalle sirene del suo quarto dimenticabile capitolo dei Pirati dei Caraibi:Oltre i Confini del Mare. Il compromesso di rendere una favola nera un prodotto per famiglie ha reso troppo ingenui i protagonisti azzerando le colpe per i loro insuccessi. La Cinderella live action di Kenneth Branagh (stessa casa di produzione e anno di uscita) ha restituito al cinema la capacità di trasportare un classico delle fiabe con onestà, senza sporcature da new generation, in cui le principesse si trasformano in eroine ammazza draghi. Al contrario Marshall ritorna un passo indietro in un film dove la confusione tra la dura morale della vita e la parodia si fondono in adattamento buono per metà e imbarazzante sulla conclusione. Nel corso degli anni novanta diverse case di produzione con relativo sfoggio di cast stellato (da Robin Williams a Danny DeVito) hanno rinunciato a questo adattamento, nel 1994 sembrava cosa fatta con la Jim Henson company, fino all’arrivo della decisione finale del 2012 di affidarlo all’impero Disney. Tre nomination all’Oscar, tre ai Golden Globes, ma nessun premio neanche quello per i costumi che hanno il pregio di essere tessuti con materiali inusuali. Il vero problema di questo titolo  è Il target : il film è tagliato a misura di bambino, ma il musical originale non lo è, è volutamente ambiguo, le canzoni sono ricche di riferimenti sessuali impliciti e la critica all’agire degli adulti non è fra le righe ma schiacciante. Come dichiara l'ultimo brano “Bisogna fare attenzione a quello che si racconta ai figli perché i figli ascoltano” così, cercando di tornare bambini e guardando la fiaba senza pregiudizi, si resta perplessi. 
 
Francesca Tulli
 

A maggio torna il RIFF

Sabato 28 Marzo 2015 12:22 Pubblicato in News
Dal 7 al 15 maggio 2015 avrà luogo la 14esima edizione del Rome Independent Film Festival (RIFF), nella doppia location del Nuovo Cinema Aquila e del The Space Cinema Moderno di Roma, dove saranno protagonisti più di cento tra film e documentari “indipendenti” in assoluta anteprima italiana.
 
 
Novità importante di questa edizione sarà la sezione fuori concorso che vedrà protagoniste le sette opere vincitrici dei Teddy Awards 2014-2015,premio cinematografico internazionale per film con tematiche LGBT, presentato da una giuria indipendente come premio ufficiale del Festival di Berlino (Berlinale). Il Teddy Award è un premio di carattere sociale assegnato a film e persone che trattano temi “queer” per promuovere tolleranza, accettazione, solidarietà e uguaglianza. Un riconoscimento che riveste una rilevanza non solo culturale. La vita “queer”, in alcune parti del mondo, infatti è punita con la pena di morte e in città, come Berlino l’homo e la transphobia sono all’ordine del giorno con violente manifestazioni.
 
Nel corso del Festival, diretto da Fabrizio Ferrari, verrà dato ampio spazio ai lungometraggi italiani. Fra i titoli selezionati segnaliamo, tra gli altri, La mezza stagione di Danilo Caputo, vincitore del premio internazionale “Mattador” come migliore sceneggiatura; l’opera prima di Tommaso Agnese Mi chiamo Maya con Valeria Solarino e Carlotta Nobili, storia di due sorelle in fuga in una Roma sconosciuta; Crushed Lives - il sesso dopo i figli di Alessandro Colizzi con, tra gli altri, Walter Leonardi e Nicoletta Romanoff, un film sul sesso prima, durante e dopo i figli; Figli di Maam, sul Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, per la regia di Paolo Consorti, con Franco Nero, Luca Lionello e Alessandro Haber, l’opera prima The Elevator di Massimo Coglitore, film italiano interpretato da attori stranieri, tra i quali Caroline Goodall, (Emilie Schindler in Schindler's List) e Burt Young (nomination agli Oscar per il film Rocky); la commedia poetica italo-spagnola Rocco tiene tu nombre del registra salernitano Angelo Orlando, conosciuto al grande pubblico per aver lavorato con alcuni dei più grandi registi del cinema italiano come Federico Fellini, Massimo Troisi, Mario Monicelli.
 
Tra i film “fuoriconfine”  il candidato della Repubblica Ceca agli Oscar per la sezione miglior film straniero, Fair play della regista cecaAndrea Sedláčková; il francese Cruel di Eric Cherrière,thriller che racconta la storia di un glaciale assassino; il film greco A Blast di Syllas Tzoumerkas  incentrato sul personaggio di Maria, donna in fuga da una vita scontata e monotona in una Grecia schiacciata dal peso della crisi; Kebab and Horoscope primo lungometraggio del regista e sceneggiatore polacco Grzegorz Jaroszuk; Luna diDave McKean, celebre illustratore di graphic novels e concept artist per diversi film come  Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Ha inoltre prodotto l’immagine che ha lanciato la Sony PlayStation e ha lavorato per film come Blade, Alien, Resurrection e Sleepy Hollow.
 
La giuria internazionale sarà composta da Louis Siciliano musicista e compositore, vincitore nel 2005 del Nastro d’Argento, da Philippe Antonello, fotografo di scena che ha lavorato con i migliori registi italiani come Gabriele Salvatores, Pupi Avati e Nanni Moretti, e internazionali come Mel Gibson, per The Passion, e Wes Anderson; da Ines Vasiljevic produttrice di molti film tra i quali La nave dolce, La ritirata e Con il fiato sospeso, dall’attrice indiana Vishakha Singh, dal documentarista Antonio Pezzuto, dall’attrice giapponese Jun Ichikawa, da Fabio Mancini responsabile dello slot di documentari DOC3 di Raitre e collaboratore alla scrittura del programma Storie Maledette e dal regista Gianfranco Pannone.
 
Il RIFF, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura, Creatività e promozione Artistica di Roma Capitale, il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - DGC e il contributo dell’Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili della Regione Lazio, registra ogni anno crescenti apprezzamenti, di pubblico e critica, per la qualità delle opere selezionate. Al termine del Festival saranno assegnati i RIFF Awards per un valore di oltre 50.000 Euro.
 
Maggiori dettagli consultando www.riff.it

Ho ucciso Napoleone

Sabato 28 Marzo 2015 12:05 Pubblicato in Recensioni
Anita (Micaela Ramazzotti) è una donna in carriera fredda e determinata. Lavora per un’azienda farmaceutica che commercia in pillole dimagranti e il suo unico obiettivo nella vita è la carriera. Ha una storia d’amore clandestina con il suo capo viscido e fedifrago, Paride (Adriano Giannini), che la mette incinta e la licenzia. Con l’aiuto di Biagio (Libero De Rienzo), giovane avvocato apparentemente timido e impacciato, Anita mette in piedi un piano vendicativo ai danni dell’azienda, per riprendersi il suo posto di lavoro e spodestare Paride. Ma da gelida manovratrice la donna diventa a sua volta la pedina di un gioco più grande e malsano del suo. 
Napoleone è il pesce rosso che la figlia dei suoi vicini di casa le affida per l’inverno, ma che Anita butta prontamente nel cesso pochi secondi dopo aver chiuso la porta in faccia alla ragazzina. Ma Napoleone è anche lo stratega, l’uomo d’azione pragmatico e manipolatore, che la protagonista uccide metaforicamente e  condanna all’esilio. 
Dopo il successo di Amiche da morire, Giorgia Farina torna dietro la macchina da presa con un’altra commedia dalle tinte black tutta al femminile, scritta a quattro mani con Federica Pontremoli. Micaela Ramazzotti passa da essere la bambinetta ingenua di Virzì, Avati e Luchetti alla spietata dark lady rigida e borghese. I capelli da diavolessa, gli occhi pestiferi e i costumi iconici “un po’ alla Joan Crawford” di Maria Rita Barbera le conferiscono un’aura meno attinente alla vita reale di tutti i giorni e più fumettistica. 
Ho ucciso Napoleone non è iscrivibile in quel genere di commedie “che fanno ridere ma fanno anche riflettere”. Quella di Giorgia Farina è una commedia leggera, che si ferma in superficie e lascia poco spazio alla riflessione. Il vero problema, d’altro canto, è che non fa nemmeno ridere. A parte in qualche raro momento, i tempi comici e l’enorme potenziale del cast non sono mai pienamente sfruttati. Le stilizzazioni dark, noir e potenzialmente pulp si confondono in un frivolo calderone pop da commediola americana anni ’80. La regista perde l’occasione di mettere in scena un personaggio femminile atipico per il cinema italiano, che ci ha abituato a vedere le donne come femme fatale, come sante (madri, mogli o figlie) comunque subordinate al personaggio maschile di turno. Complice anche la Ramazzotti che, purtroppo, non riesce a reggere il peso del suo personaggio.
Nel film nessuno è come sembra, tranne la protagonista stessa, che stronza era e stronza rimane anche alla fine della sua crociata personale, pur attraversando diversi stadi. Il ribaltamento diabolico nella seconda metà del film, però, non si avvale di armi narrative efficaci. Scatta così, di punto in bianco, senza aver seminato prima le motivazioni di questa svolta nella caratterizzazioni dei personaggi.  
Anche quando cerca di superare gli stereotipi del gentil sesso vittimista, finisce per crearne altri, quello degli uomini mammoni ad esempio, o delle stesse donne sull’orlo di una crisi di nervi che si imbottiscono di pillole dimagranti fino al coma farmacologico per affermare la propria femminilità. 
Prodotto da Angelo Barbagallo per la Bibi Film, insieme a Rai Cinema, Ho ucciso Napoleone è nelle sale dal 26 marzo in 270 copie.
 
Angelo Santini