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Visualizza articoli per tag: tom hiddleston

Solo gli amanti sopravvivono

Venerdì 16 Maggio 2014 17:31

Only Lovers Left Alive, l’ultima firma di Jim Jarmusch è una finestra sulla vita di due individui, che hanno scelto di vivere per l’eternità. Alla scorsa edizione del festival di Cannes (2013), il regista americano ha ribadito più di una volta che la pellicola non ha una sottotrama, non ha nessuna morale oltre a quella che preferisce trovare lo spettatore, non è una catechesi su come dover trascorrere la vita, è semplicemente una storia d’amore che non inizia e non finisce con il film, ma continua prima e dopo senza tempo. I due amanti del titolo vivono nell’anonimato. Lontani a chilometri di distanza, forti del sentimento che li lega da secoli, scelgono lo pseudonimo di Adam e Eve. I due protagonisti sono apparentemente agli antipodi, lui (Tom Hiddleston) è un musicista annoiato, stanco della vita che da 500 anni non premia la sua musica né il talento degli scienziati che ammira, stanco di cercare il riconoscimento degli altri, fugge dalla fama e si lascia vivere circondato da ciò che ama, non gli interessa il progresso, disgustato da come le  altre persone “trattano il mondo”, seleziona la tecnologia trovando un proprio equilibrio tra l’uso del computer e del tubo catodico. Lei (Tilda Swinton) ha 3000 anni ma si meraviglia come una bambina della moltitudine di cose che ha ancora da imparare, nonostante sia quella che con un solo tocco riesce a  datare un oggetto, non disdegna l’uso dello smartphone ma si compiace nel contemplare la natura non smettendo di trovare il significato della vita nella bellezza di una danza o nella poesia. Dopo essersi ricongiunti, nel microcosmo di eventi che, come il perpetuarsi di un piatto su un giradischi, girano attorno a loro,  si muovono sulla scena altri personaggi, Ian (Anton Yelchin) l’unico amico di Adam, John Hurt che interpreta il drammaturgo Cristopher Marlowe in persona e, ultima ma decisiva nello sconvolgere la quiete della coppia, Ava (Mia Wasikowska) sorellina di Eve, che se ne infischia dei modi sofisticati della famiglia e ha un talento innato per cacciarsi nei guai e trascinare gli altri con sé. L’amore è raccontato come un dolce bisogno di non abbandonarsi, è la “fortuna” di aver trovato una persona con cui condividere tutto, un intreccio costante che lega due anime gemelle per sempre, una passione che non si spegne mai e che ci salva dall'innata voglia di morire per non affrontare l’eterno. Sviscerati attraverso la messa in scena sono istinti del tutto primordiali come il bisogno di due predatori in cerca di cibo, perché, i nostri due sofisticati protagonisti, sono dei vampiri bramosi di sangue.  Questo non è il primo film a trattare di succhia sangue innamorati, né tantomeno il solo negli ultimi anni, è una risposta che distrugge la ridicola immagine creata dalla saga di Twilight e restituisce dignità alle creature della notte. La musica e le città coinvolte sono il riflesso dell’anima dei protagonisti. Le canzoni scelte sono pertinenti (prima tra tutte Funnel Of Love di Madeline Follin) e non mancano le esibizioni degli artisti che hanno partecipato al film, come quella della cantante libanese Yasmine Hamdan. Le note funeree dei testi composti da Adam sono anch’esse frutto del parto creativo di Jarmusch e del suo complesso musicale gli SQURL, così come lo sono i tamburi che accompagnano i passi di Eve di stampo medio orientale nelle suggestioni di Tangeri, la città affollata in cui la vampira ha scelto di nascondersi. Adam invece ha trovato la sua dimora in un castello fuori dal mondo nella desolazione di Detroit, dove il tempo sembra aver dimenticato il resto della città, luoghi esplorati al buio e fuori dal caos delle metropoli, romantici come l’intimità di una vita a due. Il cast è eccezionale, Tilda Swinton, elegantissima, scelta più di cinque anni fa per questo progetto mostra carattere e femminilità, il personaggio le è stato cucito su misura. Tom Hiddleston è il perfetto “Syd Barret che interpreta Amleto”, come voleva Jarmusch stesso, e non poteva essere diversamente vista la sua passione viscerale per Shakespeare e la sua spiccata vena teatrale. Ricco di citazioni, essenziale nella narrazione, con una fotografia che rasenta la genialità, indugia su tempi lunghi e non è un film “per tutti”. L'opera è invece ipnotica, riflessiva, magnetica, non è una oscura celebrazione della morte, ma è la dimostrazione di quanto possa essere forte il nostro istinto di sopravvivenza e l’ attaccamento alla vita, eterna o effimera che sia.

 
Francesca Tulli

SanSebastian63. High Rise

Mercoledì 07 Ottobre 2015 16:02
L’ossessione di J.G. Ballard (autore britannico, prolifico e di fama internazionale scomparso nel 2009) di portare i suoi personaggi a scontrarsi con il proprio subconscio spingendosi oltre i propri limiti, viene ampiamente descritta nel suo “High-Rise” libro di cui il regista Ben Weathley dopo anni riesce a farne un adattamento cinematografico. A Londra in un futuro ignoto Ballard costruisce un Condominio dotato di ogni confort: supermercati, piscine, palestre, scuole parcheggi sconfinati. Annulla il desiderio degli inquilini di cercare qualcosa al di fuori di questo perfetto alveare, dove c’è lavoro per tutti e nessuno vuole andarsene. Gli usi e i costumi sono quelli degli anni 70 (il 1975 è l’anno in cui venne scritto il romanzo) Il Dottor. Robert Laing (Tom Hiddleston) impassibile anatomopatologo, svolge ancora la sua professione di medico e insegnate all’università fuori da quelle mura, si estranea dal macrocosmo che cambia fuori la sua abitazione e cerca ancora di vivere la sua monotona vita sociale. Richard Wilder (Luke Evans) violento e rozzo uomo di televisione vuole invertire le gerarchie all’interno dell’edificio. Charlotte Melville (Sienna Miller), vicina di Laing madre single e insoddisfatta, vede suo figlio crescere in un mondo finto dove per cercare un diverso panorama bisogna guardare all’interno di un caleidoscopio che a detta del bambino mostra “il futuro.” Anthony Royal (Jeremy irons) è l’architetto e l’ideatore di questo ecosistema, ne possiede altri 5 di palazzi identici, vive sull’attico, un surreale paradiso terrestre, dove il cavallo bianco di sua moglie Ann pascola indisturbato tra i fiori rigogliosi del suo giardino. Come un frutto perfetto, matura, marcisce e si secca, allo stesso modo gradualmente, la perfezione di questo equilibrio artificiale si sgretola e viene inghiottito dall’anarchia. L’assassinio del cane adorato della Diva del cinema Jane Sheridan (Sienna Guilliroy) dà inizio ad un concatenarsi di eventi macabri, suicidi, omicidi, atrocità di ogni tipo, una novità entusiasmante per gli inquilini curiosi che fanno della cronaca nera il proprio pane quotidiano. Si scatena in poco tempo una guerriglia tra i diversi piani del grattacielo, si creano bande e fazioni, si vive nella spazzatura, si può paradossalmente fuggire dall’orrore in ogni momento varcando la porta di ingresso ma ci si concentra sul come restarci per il proprio tornaconto su come sfruttarlo a proprio vantaggio. Lo stesso fa Laing, perfettamente consapevole del “proprio posto” escluso dalle feste dei ricchi, anonimo nella quotidianità perfetta, emerge nella disfatta e comincia un gioco pericoloso per diventare il capo branco di questo nauseante specchio del regno animale. Le donne si coalizzano e proteggono i bambini, Helen Wilder (Elisabeth Moss) la moglie del sovversivo, è incinta è una dolce ragazzotta vittima della violenza del marito che silente aspetta di trovare il suo posto. La soluzione al problema è l’istinto di sopravvivenza, ognuno trova il suo spazio, tra orge e violenza gratuita nell’imperfetto schema del chaos, l’uomo incapace di vivere in armonia, trova la sua vera natura, e la musica classica del compositore Clint Mansell che accompagnava lo spettatore nella prima ora di film diventa gradualmente un disperato e malinconico “S.O.S” degli ABBA nel dolce remix slow-jem dei Portishead. Ben Weathley dopo essersi chiesto perché mai nessuno lo avesse fatto prima (fissando la copertina del libro dalla poltrona del suo salotto) gira un film onesto e spietato, che non trova pace con i distributori perché troppo “cattivo” in questo mondo di film “buonisti” che vanno incontro ai gusti di tutti. Presentato in anteprima europea al 63° San Sebastian Film Festival sarà presentato al pubblico solo a fine del 2016. Ballard come non si vedeva dai tempi de “L’impero del Sole” brillante, crudo e autentico.
 
Francesca Tulli

Crimson Peak

Giovedì 15 Ottobre 2015 08:08
Il regista messicano Guillermo del Toro viene definito in tanti modi, sceneggiatore, autore, scrittore, collezionista, Maestro di genere. Famoso per la sua precisione e attenzione per i dettagli, ha un gusto inconfondibile e firma ogni sua fantasia con passione prendendosi i rischi del caso, spesso frenato dalle case di produzione e dalla critica ma acclamato dai suoi sostenitori. Crimson Peak è nato così dalle pagine della sua agenda, disegnato anni fa, fedele a quel soggetto in ogni dettaglio è una “gothic romance” e come tale ne conserva la dolcezza e l’inquietudine come Jane Eyre, il figlio dello scrittore Stephen King l’ha definito una versione “insanguinata de l’età dell’Innocenza”. Agli inizi del 900 Edith Cushing (Mia Wasikowska) è una giovanissima scrittrice di romanzi, osteggiata per i contenuti delle sue storie tutt’altro che romantiche non adatte ad una donna, piene di fantasmi e suggestioni dell’infanzia. Vive a Buffalo sola con il padre (come nella “Bella e la Bestia”) corteggiata da Alan McMichael (Charlie Hunnam) il “dottorino” che la conosce da quando era bambina. Lo straniero venuto dal vecchio continente per fare fortuna il baronetto Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston) cerca lavoro come ingegnere nell’ufficio di suo padre e la incontra per caso e come in ogni buon libro, dal primo istante in cui si guardano negli occhi i due si innamorano perdutamente. Vivono una favola meravigliosa, tra balli e passeggiate nel parco, ostacolati dal padre della ragazza che non sopporta né lui né i suoi macchinari moderni (fortemente steampunk) e visti con sospetto dall’accigliata sorella di lui Lady Lucille Sharpe (Jessica Chastain) che fin da subito condivide con il fratello dei macabri piani per il futuro. Del Toro ha più volte ricordato che nella tradizione queste vicende finiscono con il matrimonio, che porta inevitabilmente ad un lieto fine ma non è il caso di questa pellicola. Giunti in Inghilterra come marito e moglie, lui le mostra la sua nuova casa, un maniero spettrale dove le assi di legno del pavimento affondando nell’argilla rossa del sottosuolo, il soffitto cede alle intemperie facendo circolare nell’aria foglie morte e polvere secolare, sui muri si muovono indisturbate grosse falene notturne. Per i due innamorati non c’è altra scelta, la ricchezza economica degli Sharpe è la dimora che hanno ereditato è parte di loro li costringe come se fosse viva, a restare chiusi dentro quelle mura come fossero insetti in una giara. Edith e Lucille dividono lo stesso tetto, due donne opposte, una apparentemente fragile, ingenua, solare, vestita di bianco, l’altra apparentemente forte, sicura di se, passionale, crepuscolare, vestita sempre a lutto e visibilmente squilibrata. La farfalla e la falena. Sono loro le protagoniste, le donne che sono capaci di sopportare tutto per amore, l’amore visto come una forza distruttiva e incontrollabile che le distrugge, le cambia. L’amore che ci “trasforma tutti in mostri” (tema anche affrontato dallo stesso nella serie TV The Strain) il più oscuro dei sentimenti umani. Crimson Peak è stato da subito bollato dai media come “il film con la casa dei fantasmi” ma il regista ha invertito la definizione spiegando che si tratta più di una storia con “dei fantasmi all’interno” e ha dichiaratamente evitato ogni facile inquietudine che viene generata nello spettatore quando in un racconto ci sono possessioni demoniache esorcismi e interventi del diavolo. Le presenze non sempre al centro della vicenda sono i silenziosi spettatori della vita di Edith, il film non fa nessun riferimento allo spiritualismo religioso. Cos’è un “Fantasma” per Del Toro viene spiegato benissimo nel suo film “spagnolo” La Spina del diavolo a cui Crimson Peak deve molto in auto citazioni e parallelismi concettuali, il fantasma è un ricordo, qualcosa di “indelebile” che non potrà mai essere eradicato del tutto. Le creature si muovono con le mani scheletriche di Dough Jones, contorsionista, attore e animatore, famoso per aver interpretato “l’uomo pallido senza occhi” de Il labirinto del Fauno. Gli enormi set plasmati dal nulla sono interamente artigianali, la stessa dimora è costruita su tre piani dotati di stanze multi funzionali carrucole e ascensori come a teatro, la cornice della collina rossa dove ha le fondamenta, dà l’impressione di un set esterno su di una altura innevata ma è in verità un capannone dove la nebbia finta fa perdere la concezione dello spazio. Illusioni ottiche e fotografia tecnicolor con forti tonalità di blu e rosso alla Lamberto Bava. I costumi sono realizzati con dettagliatissimi ricami e stoffe realmente antiche da Kate Hawley (costumista de Lo Hobbit). La colonna sonora di Fernando Velazquez ci accompagna dall’inizio con la più “creepy” delle ninne nanne. Visibilmente ineccepibile non va incontro ai gusti di tutti, chi si aspetta di vedere un horror da “salto sulla sedia” può restare a casa a guardarsene uno in dvd, lo stesso vale per chi si aspetta un film d’azione dal ritmo frenetico e non guarderebbe mai un adattamento di un libro di Jane Austen alla tv. Il film è un incubo meraviglioso consigliato a chi non ha mai smesso di leggere i romanzi d’amore e a sognare nel bene e nel male.
 
Francesca Tulli
 

The Night Manager

Mercoledì 20 Aprile 2016 17:47

Con la regia della danese premio Oscar per il miglior film straniero (In Un Mondo Migliore, 2011) Susanne Bier, The Night Manager  il romanzo scritto nel da John Le Carré nel 1993, diventa uno spy thriller diviso in sei episodi ricco di ambientazioni mozzafiato e colpi di scena da oggi (alle 22.10) in onda su Sky Atlantic. Jonathan Pine (Tom Hiddleston) è il direttore di notte di un prestigioso hotel nel cuore del Cairo dove è in corso la Primavera Araba, la rivoluzione che portò alle dimissioni di Mubarak nel 2011. Egli si prodiga nel dispensare rassicurazioni agli avventori dell'Hotel, poco importa se una bomba è esplosa a poche miglia, Mr. Pine è sempre pronto ad offire ogni confort possa tenere la clientela al riparo dall'inferno che imperversa nelle strade. La donna di Freddie Hamid un malavitoso appartenente ad una famiglia molto potente, Sophie Alekan (Aure Atika) decide di affidare i suoi segreti a Jonathan e lo coinvolge in un gioco più grande del previsto. Lo mette a conoscenza di un traffico d'armi, dietro al quale c'è Richard Roper "l'uomo peggiore del mondo" (Hugh Laurie) e presto gli eventi prendono una piega inaspettata, e viene a galla il passato di Pine, ex militare che ha servito l'Inghilterra in Iraq, la cui facciata gentile e affabile nasconde la volontà di ferro di un combattente (apparentemente) irreprensibile. La produzione dalla BBC, Ink Factory e AMC non ha badato a spese. Il fittizio "Hotel Nefertiti" location della prima parte, si trova in realtà a Marrakech e porta il nome di Es Saadi (e ha ricevuto infinite richieste di  prenotazioni dopo la messa in oda dello show!). La seconda suggestiva location è in Svizzera, ai piedi del monte Cervino. La vicenda è stata attualizzata ai giorni d'oggi con l'autorizzazione dell'autore, molti elementi differiscono, ma conserva la stessa intenzione. I personaggi sono pochi ma incisivi  e il gioco di potere si fa sempre più intrigante, l'unica pecca è la netta divisione tra un episodio e l'altro, questo fa parte dell'intenzione iniziale della regista ovvero dare alla serie il taglio di un film di sei ore piuttosto che proporre una manciata di episodi auto conclusivi. La sua firma si nota: Susanne Bier si sofferma tantissimo sugli sguardi e i particolari, niente è lasciato al caso. Una curiosità: questo è l'unico episodio in cui il protagonista svolge davvero l'attività di "Night Manager" tuttavia è fondamentale, per capire quanto il personaggio cambi nel breve corso della mini serie. Per questa ragione Tom Hiddleston per prepararsi al ruolo ha davvero svolto l'attività del Direttore d'albergo a  Rosewood a Londra, per una notte. L'ha definita un'esperienza paragonabile al teatro dove il dietro le quinte è decisamente meno "Glamour" del "palcoscenico" alla reception. Questa esperienza gli ha permesso di calarsi alla perfezione nel ruolo, nel libro Pine viene definito come "un inglese che disponeva di un sorriso fin troppo cordiale per dire di no" possiamo assolutamente dire che questo ruolo all'attore calza a pennello. 

Francesca Tulli

 

Kong: Skull Island

Giovedì 09 Marzo 2017 16:29
King Kong, sovrano dell’immaginario collettivo dal 1933 fin da quando dalle mani del maestro Willis O'Brien ne uscì una delle creature in stop-motion più importanti della storia del cinema, torna oggi protagonista in una veste rigenerata, grazie alla buona Cgi dell’Industrial Light&Magic nel nuovo film “reboot” del giovane regista Jordan Vogt-Roberts. L’organizzazione scientifica Monarch, dispendioso reparto degli Stati Uniti alla caccia di creature sconosciute ritenute solo fantasie dalle autorità vigenti, indaga nella regione inesplorata in cui aerei e navi continuano a scomparire, l’Isola dei Teschi. Nella terra dove “Dio non ha finito la creazione”, l'equipe di scienziati e geologi si fa accompagnare dalla squadra Grifone, un gruppo di soldati scanzonati capitananti dal colonnello Packard (Samuel L. Jackason) e da James Conrad (Tom Hiddleston), un ex capitano della S.A.S britannica ‘mercenario’ qualificato a protezione dei civili nelle situazioni ostili. La fotografa di guerra Mason Weaver (Brie Larson) si unisce alla sfortunata spedizione. Superate le nubi dell’ignoto a bordo di elicotteri fatiscenti, nella tradizione, per i nostri eroi si prospetta un viaggio senza precedenti. Presentato senza vergogna dal regista e dal cast come un ‘Monsters Movie’ dove mega lucertoloni, katane giapponesi, indigeni e ‘templi maledetti’ la fanno da padrone, Kong si porta sulle spalle la nostalgia degli anni ‘70 in cui è ambientato. Il montaggio imperfetto e alcune ingenuità nella seconda parte del film si fanno perdonare.  La fotografia omaggia Apocalypse Now (1979) e, come in “Cuore di Tenebra” il romanzo da cui fu tratto di Joseph Conrad (a cui il protagonista di Skull Island “ruba” il cognome), la guerra e la sua inutilità sono al centro di tutta la vicenda. Abituati all’inganno del green screen, si apprezza il fatto che il film sia stato girato in vere location in Vietnam, alle Hawaii e in Australia.  La colonna sonora di Henry Jackman è arricchita da miti senza tempo come “Paranoid” dei Black Sabbath e “Ziggy Stardust” dell’intramontabile Bowie (soltanto due delle nove canzoni di repertorio scelte).  Polvere e  tramonti, tre giorni di avventura “old fashion” nella giungla popolata da creature che si ispirano ai kaiju giapponesi e ne portano le caratteristiche, così da poter immaginare che i prossimi preannunciati seguiti, potrebbero essere la spinta per un futuro scontro fra titani come avvenne in passato (Gamera tai daiakuju Giron-1969). Doveroso il confronto con il più recente  remake del 2005 di Peter Jackson ‘King Kong’, diversissimo sotto tutti i punti di vista. Laddove Jackson puntò su di un’isola chiassosa, dove dinosauri e insetti giganti portavano la sua inconfondibile firma splatter, Jordan si rifà al primissimo Kong, riproponendo scene del classico nell’impianto di una storia totalmente nuova, minimalista, semplice, dove il feroce re dell’isola perde la sua cieca cattiveria primordiale e diventa il simbolo stesso della forza della natura, bellissima e al contempo terribile, a riprova che “il nemico non esiste finché non te lo vai a cercare”. 
Se aspetterete la fine dei titoli di coda non resterete delusi.
 
Francesca Tulli

Thor: Ragnarok

Martedì 24 Ottobre 2017 11:45
Scordatevi della terra. In principio, dalle profonde viscere del sottosuolo, Thor figlio di Odino (Chris Hemsworth) si trova a dover fronteggiare Surtur, il demone del fuoco. La città di Asgard retta come un faro di speranza per i nove regni, vive le sue ore più liete e spensierate, sotto il pacifico e sconsiderato regno del fratellastro di Thor, Loki (Tom Hiddleston) il dio degli inganni, che con un sortilegio, aveva preso possesso del trono, fingendosi  il legittimo Re. Hela la dea della Morte (Cate Blanchett) rinvigorita e vendicativa, appellandosi ad un diritto inoppugnabile, reclama la città dorata, attraversa il Ponte dell’Arcobaleno, e prepara il suo sanguinario assedio. Questo è lo scenario in cui il giovane regista neozelandese Taika Waititi si muove, rimestando come fosse plastilina colorata, l’universo Marvel “Movieverse” finora conosciuto. Distrutto dalla critica, ben prima di fare il suo ingresso nelle sale, questo terzo film del franchise, si presenta lontano delle basse aspettative, create dal secondo capitolo Thor: The Dark World (2013) che aveva sofferto (a mio avviso) di un castrante taglio del girato, insabbiato negli anni. Prendendo spunto dal primo film di Kenneth Branagh, Thor (2011) allacciandosi agli ultimi film della continuity MCU, in particolare ad Avengers: Age Of Ultron (2015) è la sintesi di un intercorso di fumetti che va dalle assurde storie del ‘62, ad una chiara ispirazione al ciclo de “La Potente Thor” in stampa in questi ultimi due anni, passando obbligatoriamente per il Ragnarok cartaceo del 2004. I riferimenti di stile sembrano essere molti, ed espliciti rispetto a quanto fatto nei blockbuster degli ultimi dieci anni. Dichiara apertamente di essere un film fatto da appassionati, per gli appassionati. I colori predominanti nella scenografia sono infatti quelli usati da Jack Kirby e Walt Simonson, pennellate di blu e rosso sature di luci e flash psichedelici. I set reali ricordano le ride di un parco a tema e non soffrono l’inevitabile implementazione digitale. La colonna sonora solenne ma infusa di elettronica di Mark Mothersbaugh (un paladino dei Nerds) funziona e si arricchisce dove, come fosse una formula magica a comando viene ‘evocato’ il brando Immigrant Song dei Led Zeppelin (1970) che solo 8 anni dopo dalla creazione del fumetto portante avrà accompagnato la lettura di molti. La comicità sfacciata è tanta e consapevole, frutto anche di una collaborazione del cast che ha “improvvisato” a questo proposito il regista ha dichiarato: “Volevo nuove voci e un differente approccio alla storia, questo lavoro si fa con gli attori, con la riscrittura del copione sul momento.” Un azzardo costato la furia del pubblico esigente (Lo stesso che tante volte, osanna “I Guardiani Della Galassia” 2014 per l’ironia di fondo) che a gusto personale può essere più o meno apprezzato. Merita in questo processo una menzione speciale Jeff Goldblum nei panni del ‘Gran Maestro’. Gradito più da un pubblico di appassionati e da chi ha seguito i protagonisti fino a qui, porta verso un commovente e inaspettato epilogo, come si confà ad buon albo a fumetti.
 
Francesca Tulli

Il serpente dell'Essex

Venerdì 13 Maggio 2022 11:30
 
“Il Serpente dell’Essex” è una serie televisiva britannica per Apple TV+ diretta dalla regista Clio Baranrd adattamento del premiato omonimo libro del 2016 di Sarah Perry. 1892. Una landa di fango, misticismo e credenze popolari. Gli abitanti di un piccola comunità di una contea dell’Inghilterra orientale sono terrorizzati dalla presenza di un mostro che si annida nelle loro teste. Si tratta di un serpente piumato che si manifesta realmente quando i pescatori si spingono troppo oltre, dove la nebbia si nutre delle loro fantasie, alimentata dalle storie del folklore popolare e dalle loro paure più recondite, il mostro (che muta forma) li ossessiona dopo la sparizione di una fanciulla in circostanze misteriose ed un altra serie di inspiegabili eventi soprannaturali. L’intera vicenda ruota intorno a Cora Seaborne (Claire Danes), vedova di un marito violento e  di un matrimonio opprimente, ella spinta dalla ritrovata libertà, accompagnata da suo figlio (stordito dall’apatia) e dalla affezionata serva Martha (Hayley Squires) si mette ad indagare sulla bestia e si reca sul posto, cercando le prove della sua esistenza. Ha l’ambizione di trovare un dinosauro e di poter contribuire al progresso nella branca che si occupa delle conoscenze in ambito naturalistico, ispirata anche dall’ondata di scoperte scientifiche in voga sulla scia degli studi rivoluzionari di Charles Darwin. A farle la corte, un giovanissimo chirurgo arrivista, Luke Garrett (Frank Dillane) che non le toglie mai gli occhi di dosso, nonostante il suo disinteressamento. Lontano dalla sua dimora a Londra, Cora viene presentata al vicario del villaggio, William Ransome (Tom Hiddleston) il pastore ha una moglie angelica, Stella (Clémence Poésy) e una figlia. Egli è molto preparato a rispondere circa la presenza della creatura, in quanto uomo di fede e di cultura, con l'arduo compito di rassicurare i sui fedeli e provare che questo demonio non esiste. I due si confrontano, l’eterno scontro tra religione e scienza si trasforma nel pretesto per cercare di conoscersi a vicenda e li trascina verso una inaspettata passione reciproca. Tra i due si consuma una torbida storia d’amore che poterà Cora e tutte le persone che gli gravitano attorno a sprofondare nell’abisso con lei. I costumi di Jane Petrie ci presentano una protagonista moderna, attingendo da un guardaroba d’epoca semplice ed accurato, la serie è stata girata nel distretto di Maldon.  Il romanzo, è una lettura complessa, ricca di particolari tipici dell’estetica del “sublime” con protagonisti respingenti e lunghe descrizioni perniciose dell’ambiente malsano dove si svolge la vicenda a confronto la serie è una più semplice e fruibile (in accezione positiva) Gothic Romance in sei episodi dove le piccole differenze nella risoluzione dell’intreccio narrativo complice la bravura e l’alchimia degli ottimi interpreti  contribuiscono a stabilire una maggiore empatia con i protagonisti rendendo le tematiche attuali e dando ottimi spunti di riflessione sulla complessità dell’animo umano.
 
Francesca Tulli