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I Mercenari 2

Sabato 11 Agosto 2012 11:42

Torna in azione il manipolo di mercenari capeggiato da Barney Ross (Sylvester Stallone) per recuperare un documento da un aereo precipitato sulle montagne dell'Europa dell'Est. L'ordine, partito dal solito Church (Bruce Willis), impone una nuova compagna d'avventura, Maggie Chang (Nan Yu) ed ovviamente porta con sé nuovi guai, impersonati dal cattivo di turno, il perfido Jean Vilain (Jean-Claude Van Damme), che subito si impadronisce del dispositivo, contenente la mappa di un deposito di plutonio in mezzo alle montagne dell'ex Unione Sovietica. Tra arrivi e partenze, il plotone di uomini con ben poco da perdere ce la metterà tutta per sconvolgere i piani del temibile bandito...

A due anni di distanza, qualche salutare cambio dietro e davanti la macchina da presa, rimette in pista il gruppo dei mercenari “sacrificabili” (dall'inglese letteralmente “expendables”): Simon West (“Con air”, “Professione Assassino”, “La figlia del generale”) sostituisce Stallone alla regia, donando una più accurata confezione alla pellicola, con un netto guadagno per le scene d'azione; l'autore ed interprete di Rocky resta però alla sceneggiatura con l'aggiunta di Richard Wenk; Jet Li ridimensiona la sua presenza ad un cammeo, comparendo solo all'inizio, mentre Willis e Schwarzenegger trasformano le loro precedenti comparsate in ruoli più significativi per i medesimi personaggi. New entries sono Liam Hemsworth (fratello del Thor cinematografico e già visto in “Hunger Games”), il “solitario” Chuck Norris e Van Damme, che aveva declinato l'invito per il precedente film, qui invece nel ruolo del cattivone. Confermati infine Jason Statham (“Killer Elite”), Dolph Lundgren (“Universal Soldier: Regeneration”), Terry Crews (“Terminator Salvation”) e Randy Couture (“Redbelt”).
La pellicola regala sicuro divertimento a tutti gli appassionati di action movies, che qui trovano un ben rappresentativo campionario delle loro sempiterne glorie, anche grazie ad un discreto numero di trovate, quali la sparatoria a tempo di rock anni 50, scandito da un vecchio juke-box animato dalla raffica di colpi esplosi, e simpatici siparietti molto simili allo stile del fumetto o  degli Sparatutto (nemici fatti a brandelli con un tocco di sano ed efferato pulp, il cattivo di turno riempito di pallottole che risuona nel metal detector dell'aeroporto..)
Non mancano, ma abbondano, i riferimenti meta-cinematografici: il lungo combattimento in mezzo alle scenografie di New York create dai russi per le simulazioni durante la guerra fredda; Stallone con la coppola che lo riporta a metà tra Rocky e il Cosmo Carboni di “Taverna Paradiso”; le battute di e su Schwarzenegger, quasi tutte omaggianti “Terminator”; lo stesso epiteto inflitto a Van Damme, “Vilain”, che ci rievoca la sua nazionalità belga; il celeberrimo brano de “Il buono, il brutto, il cattivo” riecheggia incisivo e introduttivo ad ogni apparizione dell'ormai sbeffeggiatamente solitario Chuck Norris (che si prende molto in giro sul suo ruolo di semidio che i rumors da web gli hanno affibbiato negli ultimi anni); i molti ricordi a quel non troppo lontano “Rambo”; l'immancabile Hippy ya ye di John McClane stavolta affidato alle parole di Schwartzy.. 
Citazione nella citazione, battute che riempiono una trama minimale, tutte più che brillanti, alcune delle quali basate su giochi di parole intraducibili, capaci di rendere al meglio solo in originale, ma pur comprensibili nella versione nostrana.
L'enfatizzata spettacolarizzazione, principale proposito di un'operazione in cui sono stati investiti 80 milioni di dollari, sembra essere riuscita alla perfezione, dispensata in quantità e qualità elevate. Così, nella speranza che ci siano altri successivi capitoli, non ci resta che un unico dubbio, se sia meglio questo episodio o il precedente...
 
Paolo Dallimonti & Chiara Nucera

Creed. Nato per combattere

Giovedì 14 Gennaio 2016 18:13
Adonis Johnson (Michael B. Jordan) è il figlio illegittimo di Apollo Creed, morto sul ring poco prima che lui nascesse. Trascorre un’infanzia difficile, finché non viene adottato da Mary Anne Creed (Phylicia Rashad), la vedova di Apollo, che lo porta con sé in California. Si capisce subito che il protagonista è «nato per combattere»; da piccolo picchia duro i compagni di riformatorio, da grande s'è scisso fra un lavoro castrante ma redditizio a Los Angeles e gli incontri clandestini di boxe in Messico.  
Contro il parere di Mary Anne, il protagonista lascia l’agiatezza del suo mondo ordinario e si trasferisce a Philadelphia, la città dove si tenne il leggendario incontro fra Apollo Creed e Rocky Balboa. Una volta arrivato nella città dell’amore fraterno, Adonis rintraccia Rocky (Stallone) e gli chiede di diventare il suo allenatore.
 
Adonis non è il nero che lotta per uscire dal ghetto e diventare un paperone impaccato di milioni come Apollo. Vive già nell’idillio del sogno americano, all’ombra di suo padre: è istruito, ha un bel lavoro e una bella macchina. Ma tutto questo sembra andargli stretto. Adonis fa parte di una seconda generazione, che combatte per affermare la propria personalità indipendentemente da quella precedente; per dimostrare a sé stesso e agli altri di non essere un buffone, un “Baby Creed” insomma. Questa è anche la motivazione congenita del film stesso, che combatte per emanciparsi dalla serie di Rocky e non essere solo un reboot- fotocopia del primo film, sforzandosi di creare conflitti diversi e un ricambio generazionale. 
Non mancano però i riferimenti alla serie originale, come la leggendaria scalinata dell’Art Museum a Philadelphia, gli allenamenti spartani con le galline e una figura femminile cucciola e indifesa di cui il combattente si prende cura; nel primo film Adriana era una commessa impacciata ai limiti dell’autismo, sguattera del fratello/patriarca Paulie, mentre qui Adonis si innamora di Bianca (Tessa Thompson) una musicista che soffre di una degenerazione dismorfica all’udito. 
 
Con questo film Stallone, premiato con il Golden Globe come miglior attore non protagonista, ha finalmente ricordato che vuol dire la parola dignità. A quasi settant’anni lo abbiamo visto menare le mani con i suoi amici Mercenari duri a invecchiare, convinto che il pubblico ridesse con lui, mentre in fondo rideva di lui. Per la prima volta non mette mano alla sceneggiatura della sua saga e si dedica esclusivamente al lato interpretativo, mettendo in scena un Eroe/Mentore più tragico e crepuscolare dell’ultima avventura –patetica e un po’ surreale– di Rocky Balboa (Balboa, 2007), che lo vedeva tornare sul ring alla veneranda età di 65 anni.
In Creed Rocky/Sly supera quella crisi della terza età ed è costretto a combattere la sua (ultima?) battaglia contro un avversario più letale di chiunque abbia mai affrontato sul ring. D’altronde tutti quelli che lo circondavano sono morti e lo “stallone italiano” - come ancora lo chiama qualcuno nella vecchia palestra di Mickey - non può far altro che imparare dai suoi errori, accettare il tempo che passa e smettere di vivere fra le fotografie del passato incorniciate sulle mura del suo ristorante.
 
Il regista Ryan Coogler (Prossima fermata – Fruitvale station, 2014), grande fan di Rocky fin da bambino, resuscita il franchise da 9 anni di dimenticatoio. Filma i match in modo meno frammentario e serrato del precedente Rocky Balboa; il primo incontro a Philadelphia contro Gabriel Rosado (sosia indiscusso di Fedez) è un unico long take con la macchina da presa che gira intorno ai due pugili, mentre la stessa tecnica viene usata per l’entrata sul ring durante il match finale con Ricky Conlan (Tony Bellew). 
 
Non un gran film, ma senz’altro un film dignitoso che non deluderà sicuramente i fan della serie. Tanto che già si parla di un sequel. 
 
Angelo Santini