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Frantz

Martedì 20 Settembre 2016 09:49
In un paesino della Germania sconfitta dalla Grande Guerra, la giovane Anna (Paula Beer) giornalmente fa visita alla tomba del fidanzato perito durante il conflitto. Un giorno qualunque del 1919, la ragazza si accorge che non è la sola a recarsi sulla lapide del soldato. Qui entra in scena Adrien (Pierre Niney, Yves Saint Laurent - 2014), personaggio misterioso, che incuriosisce Anna. Quando il ragazzo, per forza di cose, entra nella vita del paese, si scopre essere di origine francese. Domande e dubbi attanagliano la comunità, che come Anna e la famiglia del promesso sposo, si chiedono il perché di questo insolito pellegrinaggio. 
 
Nasce enigmatico ed all’insegna del thriller il nuovo camaleontico lavoro del regista francese François Ozon (Potiche – La bella statuina, nel 2010 in Concorso a Venezia). Frantz, che fa parte della line-up in corsa per il Leone d’Oro a Venezia 2016, è tratto da uno spettacolo teatrale di Maurice Rostand e precedentemente adattato al cinema da Lubitsch nel 1931 con il titolo “Broken Lullaby”.
Il regista d’oltralpe gira per la prima volta in bianco e nero ed in lingua tedesca. Rimane comunque fedele al suo cinema inventivo ed illusorio, riuscendo a mixare diversi generi e tematiche. Ozon imbastisce una regia che esalta la narrazione, tenendo alta l’asticella dell’attenzione, depistandoci per poi riallinearsi. Azzecca i tempi e fa fiorire i sentimenti, stati dell’anima dubbiosi e vaghi, per certi versi inafferrabili. 
Frantz è una parabola sul perdono. Nelle sue scene, che sembrano materia viva, camminano parallelamente Anna ed Adrien, in cerca di qualcosa che metta pace nelle proprie esistenze. Gestione complicata ed estremamente riflessiva di due diversi tipi di assoluzioni. Scopi diversi nell’affrontare i propri viaggi.
Chiamiamola vittoria e sconfitta, come è nell’intento del regista francese, se si paragonano le situazioni di Germania e Francia dopo la Prima Guerra Mondiale con quella dei due protagonisti. Viaggi personali e di culture, che per i tedeschi sarà la base della costruzione di un futuro di follia e morte. Nell’iconico dipinto “Il Suicidio” di E. Manet risiede parte dell’interpretazione della pellicola. Ad un primo sguardo il soggetto maschile sembra dormire un sonno riparatore, ma sotto l’attenta lente d’ingrandimento di Anna si realizza il suo nefasto significato: la fine figurativa dell’umanità, vittima della guerra e dei suoi strascichi. 
 
Nell’eleganza senza tempo del bianco e nero, paradossalmente risiede il punto a sfavore e forse un po’ banale del film. I momenti di spensieratezza si colorano, tutto il resto: i ricordi delle battaglie, il lutto ed il pericolo non hanno colore. Una strada battuta parecchie volte, che sinceramente ha il sapore del déjà vu. 
 
In evidenza per la sua bravura Paula Beer, premio Marcello Mastroianni per la migliore attrice emergente. La sua interpretazione è malinconica ed allo stesso tempo sentita e tenace. L’artista tedesca è aiutata anche dal buon lavoro fatto da Pierre Niney, capace di incastrarsi tra le riflessioni della ragazza, nascondendo e mettendo in evidenza il mistero.
 
Franzt è un film ben raccontato. Non si urla al capolavoro, ma scorre senza noia e ci si affianca ai due protagonisti immedesimandoci ai perdenti e stando assolutamente dalla loro parte. Sensi di colpa, amore e coraggio sono un buon viatico per assistere a quest’opera, che può essere considerata un moderno romanzo storico ben realizzato.
 
David Siena