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Per la cerimonia dell'assegnazione delle nomination ai Nastri d'Argento 2018, Marcello Fonte ed Edoardo Pesce salgono sul palco nominati ex aequo come miglior attore protagonista per Dogman di Matteo Garrone.

Il traditore

Giovedì 23 Maggio 2019 17:21
Santa Rosalia, Luglio 1980. In uno sfarzoso e dispersivo salotto le più importanti famiglie di Cosa Nostra stipulano un accordo delicato, nuove direzioni da seguire nel vasto business della droga. Tensioni latenti e finti consensi fanno da contorno ad un’intesa la cui pace vacillerà in più occasioni portando inevitabilmente a spargimenti di sangue. Tra gli astanti c’è anche Tommaso Buscetta, circondato dalla sua numerosa famiglia. Buscetta sa bene che questa pace siglata dai Clan avrà vita breve e che recherà con sè delle aspre conseguenze per molti individui. Il temuto conflitto tra i boss non si fa attendere, e così pochi anni dopo quella riunione, scoppia una vera e propria contesa per ottenere pieno controllo sul traffico della droga. Il boss dei due mondi, Buscetta, è oramai costretto a fuggire in Brasile per tutalare la sua nuova famiglia, lontano dalla sua amata Sicilia, e dal suo originario nido familiare. Dal Brasile è costretto ad assistere impotente all’uccisione di alcuni suoi cari. Lo scontro tra clan è infatti divenuto più sanguinoso che mai, arrivando a colpire anche vite di innocenti, i quali hanno la sola colpa di portare un nome scomodo. Dopo essere stato arrestato ed estradato in Italia dalla polizia brasiliana, Buscetta incontra il giudice Falcone e pertanto decide di iniziare a collaborare con la giustizia, dando origine ad un processo di smantellamento che cambiò radicalmente le sorti di Cosa Nostra. Il traditore è un film che non si limita soltanto a narrare quel momento di svolta nella lotta alla mafia, ma scandaglia ogni tassello, ponendo in analisi molti elementi di differente natura a partire dal delineamento del complesso profilo di Tommaso Buscetta. Bellocchio ricostruisce l’immagine di un personaggio controverso e umano allo stesso modo e lo fa senza erigere altarini di stampo incriminatorio, ma tentando di avvicinare Buscetta ad una comprensione più profonda dello spettatore. E’ lui il traditore, anche se non ha mai smesso di affermare il contrario, rimarcando la sua estrema lontananza da quella che è divenuta con il tempo Cosa Nostra, estranea a tutti i principi da lui condivisi. La sua presa di posizione lo porta ad una vita da esule, lontano dalla sua terra natia e dall’amata Mondello. Ciò che più colpisce di questo coraggioso ed ambizioso film, è la capacità di condensare un materiale vastissimo in un racconto sul quale non grava  alcuni tipo di pesantezza. Il tessuto intrecciato da Bellocchio ha la virtù di procedere per salti coerenti, senza lasciare nulla nel limbo della sollecitudine. Il suo è un film diretto, frontale come quelle inquadrature sintetiche e dense di senso, che costellano tutta la storia. Privilegiando il contrasto, si fa leva sul carattere più pittorico della scena e della composizione dell’immagine, donando più profondità a molte sequenze. Esemplare è inoltre il lavoro sulla lingua, alla ricerca di quell’idioma originale della Sicilia, di quella cadenza ritmata ed espressiva. Pierfrancesco Favino è il fulcro della scena, perfetto in ogni angolatura, dimostrando ancora una volta di essere un interprete capace di rapire. Plauso speciale va a Luigi Lo Cascio, che restituisce un personaggio dinamico e intenso, abile nell’alternare con disinvoltura diversi registri, come solo pochi sanno fare. 
Il Traditore di Bellocchio, tra i film in concorso a Cannes quest’anno, è pertanto un film personalissimo e di rara bellezza, un racconto puro e analitico, che necessita di essere visto.  
 
Giada Farrace

L'uomo che compro' la luna

Giovedì 02 Maggio 2019 23:14
Due agenti segreti italiani scoprono che un abitante di un piccolo paese della  Sardegna si è impossessato della luna con uno stratagemma legale risalente a cinquant’anni prima e, tramite i servizi segreti americani, mandano in missione una spia che sanno avere origini sarde seppure ben nascoste e mimetizzate dall’accento meneghino e da una tintura bionda per capelli.
Il film è una sorta di romanzo di formazione in cui il protagonista cresce ritrovando la sua vera essenza e le sue radici nella Sardegna, patria del nonno, e allo stesso tempo sfondo caustico, duro e spigoloso.
Il prologo mostra un uomo su un’ape che incontra di fronte a lui, su una distesa desertica, un asino che cocciutamente non accenna a scostarsi per far passare l’ape e il suo guidatore che, allo stesso modo, non devia di un millimetro dalla sua direzione nonostante lo spazio disponibile.
Con questo riferimento a uno dei più comuni stereotipi sardi (l’essere testardi) si apre la seconda opera del regista Paolo Zucca che, dopo “L’arbitro”, raggiunge una maturità artistica maggiore e sforna un piccolo gioiellino cinematografico. 
Nonostante l’intera trama sia strettamente legata all’essenza e all’anima dell’isola, il film è assolutamente godibile per ogni tipo di pubblico. Zucca rende merito alle caratteristiche più peculiari dei suoi corregionali utilizzando come espediente narrativo gli stereotipi che li descrivono, senza però farne macchiette ridicole. L’iconografia sarda diventa simbolo di una provincia che non c’è più e che esprime tutta la profonda identità di un popolo profondamente radicato nei propri confini. Si ride in modo caustico e improvviso e senza mai strizzare l’occhio ad espedienti prosaici ma sfruttando la naturale predisposizione del carattere isolano.
Kevin Pirelli (Jacopo Cullin) si ritrova come nel più tradizionale viaggio dell’eroe a girare la Sardegna in cerca di qualcosa e qualcuno che poi finirà per essere più un viaggio interiore che utilitaristico.
La missione deve essere eseguita in modo perfetto e quindi occorre un addestramento per mimetizzarsi al meglio nel territorio. Gli agenti segreti convocheranno quindi un precettore: Badore (Benito Urgu) un sardo doc che incarna perfettamente l’archetipo che vuole rappresentare e che, insieme al protagonista compone una coppia comica irresistibile.
Oltre agli elementi comici e picareschi “L’uomo che comprò la luna” si offre allo spettatore anche in una veste poetica. C’è il tema della lealtà, del rispetto, dell’amore tra coniugi e dell’adorazione per la propria terra e le proprie radici. C’è un’aria surreale, quasi favolistica con un pizzico di fantascienza che, traslata in una dimensione provinciale, evoca degli scenari improbabili e proprio per questo interessanti. 
Esattamente come le caratteristiche degli sceneggiatori questo film ha tre anime perfettamente correlate tra loro: quella dello stesso Zucca che compie un atto di amore, non privo di critiche, verso la sua terra; quello di Geppi Cucciari e il suo umorismo connaturato alla sua “sardità” e quello di Barbara Alberti e del suo tocco intellettuale e femminile.
Questi tre aspetti sono perfettamente inseriti nella trama narrativa che riesce ad essere credibile nonostante l’apparente prologo surreale.  
La godibilità di questo film resta intatta per tutta l’ora e quarantacinque minuti, appassionando lo spettatore che si affeziona inevitabilmente al protagonista un po’ goffo che alla fine sceglierà se portare a termine il suo lavoro o ritrovare la sua anima sarda nei suoi anfratti più intimi, rispettando gli insegnamenti del suo precettore.
 
Valeria Volpini