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Ho ucciso Napoleone

Sabato 28 Marzo 2015 12:05
Anita (Micaela Ramazzotti) è una donna in carriera fredda e determinata. Lavora per un’azienda farmaceutica che commercia in pillole dimagranti e il suo unico obiettivo nella vita è la carriera. Ha una storia d’amore clandestina con il suo capo viscido e fedifrago, Paride (Adriano Giannini), che la mette incinta e la licenzia. Con l’aiuto di Biagio (Libero De Rienzo), giovane avvocato apparentemente timido e impacciato, Anita mette in piedi un piano vendicativo ai danni dell’azienda, per riprendersi il suo posto di lavoro e spodestare Paride. Ma da gelida manovratrice la donna diventa a sua volta la pedina di un gioco più grande e malsano del suo. 
Napoleone è il pesce rosso che la figlia dei suoi vicini di casa le affida per l’inverno, ma che Anita butta prontamente nel cesso pochi secondi dopo aver chiuso la porta in faccia alla ragazzina. Ma Napoleone è anche lo stratega, l’uomo d’azione pragmatico e manipolatore, che la protagonista uccide metaforicamente e  condanna all’esilio. 
Dopo il successo di Amiche da morire, Giorgia Farina torna dietro la macchina da presa con un’altra commedia dalle tinte black tutta al femminile, scritta a quattro mani con Federica Pontremoli. Micaela Ramazzotti passa da essere la bambinetta ingenua di Virzì, Avati e Luchetti alla spietata dark lady rigida e borghese. I capelli da diavolessa, gli occhi pestiferi e i costumi iconici “un po’ alla Joan Crawford” di Maria Rita Barbera le conferiscono un’aura meno attinente alla vita reale di tutti i giorni e più fumettistica. 
Ho ucciso Napoleone non è iscrivibile in quel genere di commedie “che fanno ridere ma fanno anche riflettere”. Quella di Giorgia Farina è una commedia leggera, che si ferma in superficie e lascia poco spazio alla riflessione. Il vero problema, d’altro canto, è che non fa nemmeno ridere. A parte in qualche raro momento, i tempi comici e l’enorme potenziale del cast non sono mai pienamente sfruttati. Le stilizzazioni dark, noir e potenzialmente pulp si confondono in un frivolo calderone pop da commediola americana anni ’80. La regista perde l’occasione di mettere in scena un personaggio femminile atipico per il cinema italiano, che ci ha abituato a vedere le donne come femme fatale, come sante (madri, mogli o figlie) comunque subordinate al personaggio maschile di turno. Complice anche la Ramazzotti che, purtroppo, non riesce a reggere il peso del suo personaggio.
Nel film nessuno è come sembra, tranne la protagonista stessa, che stronza era e stronza rimane anche alla fine della sua crociata personale, pur attraversando diversi stadi. Il ribaltamento diabolico nella seconda metà del film, però, non si avvale di armi narrative efficaci. Scatta così, di punto in bianco, senza aver seminato prima le motivazioni di questa svolta nella caratterizzazioni dei personaggi.  
Anche quando cerca di superare gli stereotipi del gentil sesso vittimista, finisce per crearne altri, quello degli uomini mammoni ad esempio, o delle stesse donne sull’orlo di una crisi di nervi che si imbottiscono di pillole dimagranti fino al coma farmacologico per affermare la propria femminilità. 
Prodotto da Angelo Barbagallo per la Bibi Film, insieme a Rai Cinema, Ho ucciso Napoleone è nelle sale dal 26 marzo in 270 copie.
 
Angelo Santini
 

Qualcosa di nuovo

Sabato 08 Ottobre 2016 22:27
Nel 2013 Cristina Comencini scrive e dirige l’opera teatrale La scena con Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti. La commedia riscuote un enorme successo risultando lo spettacolo più visto e applaudito del 2014.
L'entusiasmo del pubblico a teatro e la conseguente adesione completa allo spettacolo, ha portato alla possibilità concreta di riadattarlo per il grande schermo. È così che prende forma Qualcosa di nuovo, un film divertente e sfaccettato, capace di far sorridere e riflettere. Cristina Comencini ha arricchito l'adattamento cinematografico con elementi nuovi particolari, che potessero generare dei maggiori punti di contatto con lo spettatore. La storia ruota attorno a due figure femminili, Lucia e Maria, amiche di vecchia data che si conoscono a fondo, inseparabili da sempre. Due donne completamente diverse che nutrono nei confronti del genere maschile dei sentimenti contrapposti. Maria, madre single di due bambini, ha un approccio molto primitivo ed istintivo con gli uomini, abbordandoli di continuo pur di non restare sola. Lucia, cantante Jazz, è una donna molto indipendente e selettiva, avendo alle spalle una separazione dolorosa, che le ha forgiato una corazza nei confronti del sesso maschile. Due universi femminili così lontani e incompatibili registreranno per la prima volta un punto di contatto quando farà capolino la figura di un uomo, differente da tutti gli altri, capace di rivoluzionare radicalmente il loro quotidiano. Cristina Comencini ci restituisce con grande cura, un quadro dettagliato di due diverse realtà femminili, il quale coincide con uno sguardo verso il futuro, una prospettiva di speranza atta a rammentare la forza della casualità nella vita di ogni individuo. Nella stesura dello script accanto a Cristina Comencini, Giulia Calenda e la camaleontica Paola Cortellesi, che ha arricchito la sceneggiatura di ironia ed effervescenza. Sullo schermo a fianco di Paola Cortellesi c'é Micaela Ramazzotti e Eduardo Valdarnini. Il duo Cortellesi Ramazzotti riesce a giocare bene sui toni della commedia, regalandoci scene divertenti e restituendo allo stesso tempo una grande profondità ai loro personaggi. Una perfetta alchimia anche con il giovane Valdarnini, ironico e capace. Qualcosa di Nuovo è una commedia insolita e diversa per il nostro cinema, analisi della relazione in continuo mutamento tra uomini e donne di generazioni diverse. Un film fresco e piacevole, capace di mescolare momenti esilaranti a sequenze più profonde senza mai precipitare nel banale. Una commedia attuale e divertente nelle sale a partire dal 13 ottobre. 
 
Giada Farrace 
 

Felicita'

Domenica 17 Settembre 2023 17:16

Felicità è un miraggio, un’aspirazione, una chimera, un obiettivo, un traguardo ma ha così tante facce e si sposta con fulminea velocità che non è facile individuare cosa sia e nemmeno afferrarla per tenerla con sé il più a lungo possibile.

Desiré è una acconciatrice che lavora come assistente sui set cinematografici e ha alle spalle una vita difficile all’interno della famiglia problematica e disfunzionale che le è toccata in sorte.

Non ha mai ricevuto incoraggiamenti e supporto ma anzi viene ritenuta da entrambi i genitori una donna stupida che ha solo la dote di essere una lavoratrice indefessa che risparmia il più possibile e alla quale poter chiedere soldi, senza alcuna remora o imbarazzo, ogni qual volta capiti qualcosa a cui far fronte.

Desiré non ha altre aspirazioni che quella di essere felice accanto agli affetti più cari. Vive una storia d’amore con un professore più grande di lei ma è solo apparenza, un castello di carte troppo fragile.

Micaela Ramazzotti, anche regista di questo lungometraggio, si ritaglia e cuce addosso un personaggio perfettamente nelle sue corde, la sua Desirè (con l’accento) ha molteplici sfaccettature e ognuna di queste è messa in luce da una interpretazione senza sbavature, sempre centrata, mai sopra le righe. Micaela dona al suo personaggio tutto quello che le serve per essere funzionale al racconto e per far sì che lo spettatore si immedesimi con questa donna bella, gentile, generosa e disponibile con tutti nonostante riceva solo umiliazioni, angherie, molestie e sia costantemente manipolata da chi dovrebbe invece proteggerla e amarla.

L’unico affetto sincero e puro risiede nel rapporto con Claudio, il fratello minore rimasto a vivere con i genitori e in preda a crisi depressive violente che gli impediscono di ribellarsi all’amore soffocante dei genitori, che lo trattano come un minorato impedendogli di emanciparsi e spiccare il volo da quel nido così opprimente. Micaela Ramazzotti ci racconta un microcosmo familiare ristretto e asfittico fatto di piccoli soprusi perpetrati da genitori gretti che non sanno donare amore nel modo giusto ma costringono i figli ad accettare situazioni scomode e anche pericolose pur di scansare problemi e vivere egoisticamente le loro giornate fatte di niente.

La madre (una perfetta Anna Galiena) rancorosa della carriera della figlia che, a parer suo, ha contribuito a creare, le recrimina anche di essere uscita dal nucleo familiare troppo presto lasciandola sola mentre il padre (un Max Tortora che ci regala una performance molto colorita) si crede uno show-man incompreso e insegue sogni di gloria nelle piccole tv private accettando anche di scendere a squallidi compromessi sessuali pur di avere uno spazio tutto suo. In questo contesto la figura di Desiré appare un angelo biondo tra demoni neri e, sebbene porti sulle spalle tanti e troppi dolori, non perde mai la sua ingenua e infantile bontà e la sua generosa disponibilità che le consentono di intervenire sempre in maniera forte e decisa per salvare chi ama. Non si arrende e ne avrebbe tutte le ragioni ma, come una leonessa, travestita da pulcino bagnato, cerca di difendere chi non può farlo da solo.

L’unica pecca del film è il trascinamento di un finale che avrebbe potuto arrivare prima e invece, come se tutto il marcio che si è visto non fosse ancora sufficiente, si scava ancora più nel profondo come a voler dire che i dolori vanno vissuti tutti fino in fondo senza sconti e solo alla fine, forse, si ha diritto ad avere un premio per gli sforzi fatti.

Il congedo, finalmente, è rassicurante. Lasciamo Desirè sempre scarmigliata e trafelata eppure bellissima mentre il suo specchio è un fratello che invece appare guarito e in procinto di affrontare da solo il mondo esterno. I meravigliosi occhi di ghiaccio di Claudio (intepretato dal bravo Matteo Olivetti) non sono più vuoti ma finalmente vividi, il suo sorriso è ora spontaneo e non più acceso dietro comando, i capelli non son più quelli acconciati secondo il gusto della madre e tutto acquista il sapore di un riscatto e di un nuovo inizio che lo spettatore si augura sia duraturo e fulgido per entrambi.

Micaela Ramazzotti confeziona un ritratto impietoso di una famiglia meschina, indagando anche il tema delicato della malattia mentale, calando il tutto in un contesto periferico ricostruito negli scenari, nei costumi e nell'uso del parlato in modo dettagliato.
Si avvale della bella fotografia di Luca Bigazzi, del montaggio efficace di Jacopo Quadri che rende tutto fluido e scorrevole e una colonna sonora confezionata da Carlo Virzì che sottolinea sia le parti più cupe e tensive che quelle più leggere e grottesche in modo puntuale.
Una prima prova registica che viene superata a pieni voti. Presentato nella sezione Orizzonti Extra all' ultima edizione del Festival di Venezia ha vinto meritatamente il premio degli spettatori Armani beauty.

David Siena