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MIRACOLO A LE HAVRE

Domenica 11 Dicembre 2011 10:44

A distanza di poche sere ho assistito ai nuovi film di due riferimenti certi della commedia contemporanea, entrambi così romantici ma anche così distanti fra loro per cultura, linguaggio cinematografico e stile. Sto parlando di Woody Allen con il suo “Midnight in Paris” e del finlandese Aki Kaurismaki con “Miracolo a Le Havre”.

In questa loro ultima prova i due sono ancora più accostabili in quanto la messa in scena è quella di due fiabe, ebbene tutto il “dolce-romantico-intellettuale” profuso da Woody (al quale voglio un bene totale e smisurato, sia chiaro) e che ha riempito le mie “pupille-gustative” domenica scorsa è stato spazzato via ieri sera dal miracolo di Aki.

Alla seconda sala del Quattro Fontane (prima direi per qualità e comodità rispetto alla sala 1) dopo pochi minuti siamo già in atmosfera Aki con tutti i punti fermi del suo Cinema: stanze spoglie di onestissime case di povera gente con l’essenziale arredamento un tavolo due sedie una cucina economica niente di più se non una immancabile radio a transistor, un divanetto e un fiore a centro tavola. I colori pastello dell’appartamento li ritroviamo tutti all’interno dei bar che come sempre sono il luogo di ritrovo per eccellenza dei personaggi di A.K. di questi distinti e impeccabili clochard davanti a un bicchiere di Ricard o di birra. Se l’estrazione culturale non fosse così lontana dalla nostra, verrebbe da pensare agli avventori delle osterie di fuori porta di Gucciniana memoria dove davanti a un bicchiere di vino si parlava d’amore e di filosofia spicciola. I personaggi del mondo kaurismakiano sono filosofi nati, anti-intellettuali e nella loro povertà mantengono una dignità e una classe che nei circoli esclusivi se le sognano. E’ proprio questo un altro elemento immutabile nei film di A.K. l’orgoglio sia comportamentale che dialettico dei suoi protagonisti che sono perdenti ed emarginati solo al cospetto di questa società borghese, ottusa e classista. Come a suo tempo lo è stato Charlie Chaplin con il suo “Charlot”, A.K. e i suoi eroi sono i veri, autentici antagonisti alla selvaggia globalizzazione: Marcel che non casualmente di cognome fa Marx è un ex- bohémien ora lustrascarpe ambulante nella città portuale di Le Havre. E il suo mondo è fatto di un amore totale e sobrio verso la moglie, la devotissima Arletty (anche qui nome-hommage all’attrice di Les enfants du Paradis) è fatto di un quartiere di casette e negozietti quasi irreale nel mondo nevrotico di oggi, di automobili vintage in stile anni sessanta di bolscevica memoria.

Il cameo del rocker di origini italiane “Little Bob” è da antologia come tutte le parentesi-concerto nei film di A.K. Questo Roberto Piazza che a metà degli anni settanta si traferì in Francia con la sua rock-band e finì in tour di spalla a gruppi gloriosi come The Inmates, The Clash, The Lord of the new church, The Sex Pistols, Motorhead, The Stranglers. Qui appare in un Reunion-concert con la nobile finalità di rimediare i soldi necessari alla fuga londinese del clandestino Idrissa.

E poi in questo nuovo film c’è la figura bellissima del commissario Monet (!!) uno straordinario e tristissimo Jean-Pierre Darrousin che “riscatta” la sua figura di poliziotto in un pre-finale che ci riporta a Casablanca con la rinnovata amicizia fra il Rick/Humphrey Bogart e il capitano Renault/Claude Rains.

Proprio il finale dal doppio-miracolo allontana questo ultimo lavoro di Kaurismaki dai precedenti e qui molti hanno storto il naso, ma che fosse una favola lo si sapeva dal titolo ragazzi miei... lui non ha velleità di riempire le sale come qualcun altro avvalendosi degli attori migliori e di battute a ritmo vertiginoso. Aki non ci “marcia”. Mai. Solo che anche per questi “angeli” prima o poi la sorte deve girare. L’abnegazione e la solidarietà disinteressata che Marcel Marx mette sul tavolo per aiutare il giovanissimo Idrissa è un atto di fede immenso che il destino seppure cieco non può fare a meno di vedere. C’è una infinita poesia nel fatto che Marcel non sa della vera situazione di Arletty e quindi dedica tutto se stesso alla “sistemazione” del povero clandestino. E allora ben venga il finale con il misero ciliegio in fiore.

Il doppio miracolo è lì a premiare chi si sporca le mani, chi crede solo al bene perché non conosce il male come ci hanno insegnato film come “The kid” di Chaplin o “Life is wonderful” di Capra.

Evviva i miracoli, soprattutto se sono doppi.

 

Marco Castrichella