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Silence

Mercoledì 11 Gennaio 2017 22:47
Silenzio, grilli e cicale, questa è la musica estiva che accompagna ancora oggi la campagna Giapponese, il silenzio di “Dio” è al centro del romanzo scritto da Shusaku Endo “Chinmoku” (in italiano “Silenzio”) del 1966, oggi adattato da Martin Scorsese nel suo omonimo film. Due giovanissimi Gesuiti portoghesi, Padre Sebastiao Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Francisco Garrpe (Adam Driver) con la guida di un lunatico giapponese convertito Kichijiro (Yosuke Kubozuka), partono per le sperdute isole del Sol Levante alla ricerca del loro maestro Padre Ferreira (Liam Neeson), convinti che le voci sul fatto che egli abbia abiurato siano solo calunnie. Trovano un paese dove i Cristiani vengono perseguitati, uccisi, come ai tempi dell’antica Roma, costretti a rinnegare il proprio dio e mandati a morire, in nome di una religione improntata anni prima di cui non conoscono neanche il vero dogma. Quello che doveva essere una missione di soccorso, diventa la disperata ricerca di “predicare il vangelo ad ogni creatura” anche a coloro che non possono comprenderlo per una distanza culturale oltre che logicamente, linguistica. Ne esce un ritratto storico ma anche indirettamente attuale del Giappone, che spiega le vere ragioni sul perché questa evangelizzazione non abbia funzionato. Tutt’oggi l’approccio alle religioni occidentali resta in Oriente difficile da interpretare nel giusto modo (eccezion fatta per alcuni, ne è un esempio l’autore del libro). Con le sue tre ore di durata, il film passa dall’essere interessante al somigliare ad un documentario. Girato a Taiwan (nei teatri della CMPC) dove lo scenografo italiano Dante Ferretti ha ricostruito il Giappone del XVII secolo le locations risultano credibili ma monotone. La totale assenza di colonna sonora, crea un’atmosfera per riflettere ma viene spezzata dalla narrazione e dai pensieri in prima persona del protagonista che accompagnano lo spettatore senza permettere la totale immersione. La crudezza delle torture inflitte ai fedeli viene rappresentata senza la macabra voglia di stupire, permettendo la visione del film a tutti, anche a scopo didattico. Non c’è dubbio sul fatto che una storia così (il romanzo è un bestseller) avrebbe prima o poi attirato l’attenzione del cinema e sarebbe stata tradotta in un film, Scorsese si dimostra un professore valente ma quello che manca è la tenerezza, la pellicola non fa commuovere. Jay Cocks, lo sceneggiatore a cui dallo stesso regista sono state affidate sfide ben più difficili e riuscitissime nel corso degli anni (per citarne una ‘L’età dell’innocenza’ nel 1993), qui si trova a dover adattare un testo forse troppo rigoroso a dimostrazione che la traslazione da un'opera giapponese ad un un film americano è ancora difficile, perfino per un premio Oscar.
 
Francesca Tulli