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Baby Driver

Giovedì 07 Settembre 2017 17:55
Nel mondo criminale, quello almeno cinematografico, a cui ci hanno abituato i film di una volta, fatta la rapina, il più importante dei compiti viene affidato a chi deve “fuggire con il bottino”. Nella visione del regista inglese Edgard Wright, l’arduo compito di spingere sull'acceleratore all’occorrenza è affidato a Baby (Ansel Elgort, classe ‘94) un ragazzino in grado di guidare qualsiasi automobile. Viene assoldato da Doc (Kevin Spacey) il criminale perfetto, un demonio vestito in giacca e cravatta, classe da vendere (è impossibile restare indifferenti davanti alla sua meschina gentilezza) e dalla sua ‘Banda Bassotti’ da manuale, composta dal tiratore Buddy (Jon Hamm), la sua dolce bionda metà Dalring (Eiza Gonzalez), Jamie Foxx nei panni dell’esplosivo Bats e Griff (Jon Bernthal fu ‘The Punisher’ nella serie TV Daredevil). Nickname da fumetto, come piacerebbe a Tarantino, le atmosfere di Driver-L’imprendibile (1978)  a cui il film deve dichiaratamente molto (Walter Hill, ha perfino dato la sua benedizione con un cameo) tutto grida al classico, e si distingue la sua originalità grazie ad una coraggiosa scelta, cosa c’è di tanto speciale in questo film? La disarmante bontà di Baby, iI giovane asso criminale è inaspettatamente tenero, la sua consapevole e fiera attività clandestina non gli vieta di fare del bene, non gli impedisce di innamorarsi di Deborah (Lily James) la barista di una stazione di servizio ubicata in mezzo al nulla. Baby ha un fischio nella testa dalla nascita ed è costretto a tenere acceso il suo I pod nelle orecchie tutto il giorno per concentrarsi, da qui l’espediente geniale per inserire la musica protagonista della pellicola. Durante la conferenza stampa il regista ha sottolineato l'importanza della colonna sonora, addirittura presente all’interno del copione digitale, Kevin Spacey ha definito la sua prima lettura dello script “Sexy”, perché il film non esisterebbe senza la musica. Dall’ “Harlem Shuffle” di Bob&Erl (1963) a ‘Brighton Rock’ dei Queen (1974), passando per Deborah dei T-Rex (1968)  con l’aggiunta delle suggestioni del compositore Steven Price, è impossibile non gustarla all’interno dell’ensemble. Girato bene e sceneggiato meglio, i dialoghi, scritti anche questi da Wright, finora conosciuto solo dalla sua indipendente cerchia di amatori geek, per l’adattamento del fumetto “Scott Pilgrim VS the World”(2010) e per “L’alba dei Morti Dementi” del 2004 (ora sulla bocca di tutti in quanto giudice della ‘74 edizione del Festival di Venezia), sono brillanti, squisiti, calibrati e pertinenti. L’amore, trionfa sulla disonestà, senza risvolti sdolcinati, l’intrattenimento commerciale alla Fast and Furious viene lasciato indietro, e quello che resta è un bellissimo esempio di quanto, dando fiducia a certi giovani registi, si possa portare freschezza e novità anche nei generi più convenzionali.
 
Francesca Tulli