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Al Festival del Cinema di Sitges 2017 si è tenuta una tavola rotonda sui 50 anni del cinema horror italiano alla presenza di tre grandi maestri quali Dario Argento, Sergio Martino e Lamberto Bava, che ha visto tra l'altro come ospite d'onore il regista messicano Guillermo del Toro, grande ammiratore dei loro film. A moderare l'incontro con il pubblico c'era Manlio Gomarasca, fondatore di Nocturno Cinema.

Crimson Peak

Giovedì 15 Ottobre 2015 08:08
Il regista messicano Guillermo del Toro viene definito in tanti modi, sceneggiatore, autore, scrittore, collezionista, Maestro di genere. Famoso per la sua precisione e attenzione per i dettagli, ha un gusto inconfondibile e firma ogni sua fantasia con passione prendendosi i rischi del caso, spesso frenato dalle case di produzione e dalla critica ma acclamato dai suoi sostenitori. Crimson Peak è nato così dalle pagine della sua agenda, disegnato anni fa, fedele a quel soggetto in ogni dettaglio è una “gothic romance” e come tale ne conserva la dolcezza e l’inquietudine come Jane Eyre, il figlio dello scrittore Stephen King l’ha definito una versione “insanguinata de l’età dell’Innocenza”. Agli inizi del 900 Edith Cushing (Mia Wasikowska) è una giovanissima scrittrice di romanzi, osteggiata per i contenuti delle sue storie tutt’altro che romantiche non adatte ad una donna, piene di fantasmi e suggestioni dell’infanzia. Vive a Buffalo sola con il padre (come nella “Bella e la Bestia”) corteggiata da Alan McMichael (Charlie Hunnam) il “dottorino” che la conosce da quando era bambina. Lo straniero venuto dal vecchio continente per fare fortuna il baronetto Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston) cerca lavoro come ingegnere nell’ufficio di suo padre e la incontra per caso e come in ogni buon libro, dal primo istante in cui si guardano negli occhi i due si innamorano perdutamente. Vivono una favola meravigliosa, tra balli e passeggiate nel parco, ostacolati dal padre della ragazza che non sopporta né lui né i suoi macchinari moderni (fortemente steampunk) e visti con sospetto dall’accigliata sorella di lui Lady Lucille Sharpe (Jessica Chastain) che fin da subito condivide con il fratello dei macabri piani per il futuro. Del Toro ha più volte ricordato che nella tradizione queste vicende finiscono con il matrimonio, che porta inevitabilmente ad un lieto fine ma non è il caso di questa pellicola. Giunti in Inghilterra come marito e moglie, lui le mostra la sua nuova casa, un maniero spettrale dove le assi di legno del pavimento affondando nell’argilla rossa del sottosuolo, il soffitto cede alle intemperie facendo circolare nell’aria foglie morte e polvere secolare, sui muri si muovono indisturbate grosse falene notturne. Per i due innamorati non c’è altra scelta, la ricchezza economica degli Sharpe è la dimora che hanno ereditato è parte di loro li costringe come se fosse viva, a restare chiusi dentro quelle mura come fossero insetti in una giara. Edith e Lucille dividono lo stesso tetto, due donne opposte, una apparentemente fragile, ingenua, solare, vestita di bianco, l’altra apparentemente forte, sicura di se, passionale, crepuscolare, vestita sempre a lutto e visibilmente squilibrata. La farfalla e la falena. Sono loro le protagoniste, le donne che sono capaci di sopportare tutto per amore, l’amore visto come una forza distruttiva e incontrollabile che le distrugge, le cambia. L’amore che ci “trasforma tutti in mostri” (tema anche affrontato dallo stesso nella serie TV The Strain) il più oscuro dei sentimenti umani. Crimson Peak è stato da subito bollato dai media come “il film con la casa dei fantasmi” ma il regista ha invertito la definizione spiegando che si tratta più di una storia con “dei fantasmi all’interno” e ha dichiaratamente evitato ogni facile inquietudine che viene generata nello spettatore quando in un racconto ci sono possessioni demoniache esorcismi e interventi del diavolo. Le presenze non sempre al centro della vicenda sono i silenziosi spettatori della vita di Edith, il film non fa nessun riferimento allo spiritualismo religioso. Cos’è un “Fantasma” per Del Toro viene spiegato benissimo nel suo film “spagnolo” La Spina del diavolo a cui Crimson Peak deve molto in auto citazioni e parallelismi concettuali, il fantasma è un ricordo, qualcosa di “indelebile” che non potrà mai essere eradicato del tutto. Le creature si muovono con le mani scheletriche di Dough Jones, contorsionista, attore e animatore, famoso per aver interpretato “l’uomo pallido senza occhi” de Il labirinto del Fauno. Gli enormi set plasmati dal nulla sono interamente artigianali, la stessa dimora è costruita su tre piani dotati di stanze multi funzionali carrucole e ascensori come a teatro, la cornice della collina rossa dove ha le fondamenta, dà l’impressione di un set esterno su di una altura innevata ma è in verità un capannone dove la nebbia finta fa perdere la concezione dello spazio. Illusioni ottiche e fotografia tecnicolor con forti tonalità di blu e rosso alla Lamberto Bava. I costumi sono realizzati con dettagliatissimi ricami e stoffe realmente antiche da Kate Hawley (costumista de Lo Hobbit). La colonna sonora di Fernando Velazquez ci accompagna dall’inizio con la più “creepy” delle ninne nanne. Visibilmente ineccepibile non va incontro ai gusti di tutti, chi si aspetta di vedere un horror da “salto sulla sedia” può restare a casa a guardarsene uno in dvd, lo stesso vale per chi si aspetta un film d’azione dal ritmo frenetico e non guarderebbe mai un adattamento di un libro di Jane Austen alla tv. Il film è un incubo meraviglioso consigliato a chi non ha mai smesso di leggere i romanzi d’amore e a sognare nel bene e nel male.
 
Francesca Tulli
 

Venezia 74. Tutti i premiati

Lunedì 11 Settembre 2017 10:57
Appenna terminata la 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, edizione che si è distinta dopo molti anni per innovazione e varietà del programma portanto titoli quali Brutti e Cattivi di Cosimo Gomez, Gatta Cenerentola, la risposta a La La Land con Ammore e Malavita dei Manetti Bross, ma ancora mother! che ha diviso la critida di Darren Aronofsky, l'intensissimo Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli che ripercorre la vita della modella e cantante berlinese. Presenze come Bardem, Penelope Cruz, Michael Caine voce narrante di My Generation, entusiasmante documentario sulla generazione sixties, Jim Carrey, i leoni alla carriera Robert Redford e Jane Fonda, John Woo, gli amici di sempre Clooney e Damon e moltissimi altri nomi del cinema internazionale, tra cui il primo fra tutti Guillermo Del Toro non hanno fatto altro che rendere la chermesse singolare e vivace e impreziosire ancora di più le proposte italiane che mai come quest'anno hanno trattato il sociale e le periferie italiane distinguendosi anche fuori dalla competizione ufficiale in lavori come Il Contagio di Botrugno e Coluccini, ma anche in Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero. 
 
 
 
 
Di seguito vi proponiamo l'elenco completo di tutti i premiati del concorso ufficiale e delle sezioni parallele.
 
La Giuria di Venezia 74, presieduta da Annette Bening e composta da Ildikó Enyedi, Michel Franco, Rebecca Hall, Anna Mouglalis, Jasmine Trinca, David Stratton, Edgar Wright e Yonfan,  dopo aver visionato tutti i 21 film in concorso, nella cerimonia ufficiale tenutasi il 9 settembre presso la Sala Grande del Lido di Venezia, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
 
LEONE D’ORO per il miglior film a:
THE SHAPE OF WATER  
di Guillermo del Toro (USA)
 
LEONE D’ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
FOXTROT
di Samuel Maoz (Israele, Germania, Francia, Svizzera)
 
LEONE D’ARGENTO - PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Xavier Legrand
per il film JUSQU’À LA GARDE (Francia)
 
COPPA VOLPI
per la migliore attrice a:
Charlotte Rampling
nel film HANNAH di Andrea Pallaoro (Italia, Belgio, Francia)
 
COPPA VOLPI
per il miglior attore a:
Kamel El Basha
nel film THE INSULT di Ziad Doueiri (Libano, Francia)
 
PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Martin McDonagh
per il film THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh (Gran Bretagna)
 
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
SWEET COUNTRY
di Warwick Thornton (Australia)
 
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Charlie Plummer
nel film LEAN ON PETE di Andrew Haigh (Gran Bretagna)
ORIZZONTI
La Giuria Orizzonti della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Gianni Amelio e composta da Rakhshan Banietemad, Ami Canaan Mann, Mark Cousins, Andrés Duprat, Fien Troch, Rebecca Zlotowski, dopo aver visionato i 31 film in concorso, assegna:
 
il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
NICO, 1988
di Susanna Nicchiarelli (Italia, Belgio)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Vahid Jalilvand
per BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE) (Iran)
 
il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
CANIBA
di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor (Francia, Usa)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Lyna Khoudri
nel film LES BIENHEUREUX di Sofia Djama (Francia, Belgio, Qatar)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Navid Mohammadzadeh
nel film BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE)
di Vahid Jalilvand (Iran)
 
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Alireza Khatami
per il film LOS VERSOS DEL OLVIDO di Alireza Khatami  (Francia, Germania, Paesi Bassi, Cile)
 
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
 
il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2017 a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA
La Giuria Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Benoît Jacquot e composta da Geoff Andrew, Albert Lee, Greta Scarano e Yorgos Zois, assegna il:
 
LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
JUSQU’À LA GARDE
di Xavier Legrand (Francia)
VENEZIA 74
 
nonché e un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.
VENEZIA CLASSICI
La Giuria presieduta da Giuseppe Piccioni e composta da studenti di cinema provenienti da diverse Università italiane: 26 laureandi in Storia del Cinema, indicati dai docenti di 12 DAMS e della veneziana Ca’ Foscari, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
 
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
THE PRINCE AND THE DYBBUK 
di  Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski (Polonia, Germania)
 
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
IDI I SMOTRI (VA’ E VEDI)
di Elem Klimov (URSS, 1985)
VENICE VIRTUAL REALITY
La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality, presieduta da John Landis e composta da Céline Sciamma e Ricky Tognazzi, assegna:
 
PREMIO MIGLIOR VR a:
ARDEN’S WAKE (EXPANDED)
di Eugene YK Chung (USA)
 
PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR (PER CONTENUTO INTERATTIVO) a:
LA CAMERA INSABBIATA
di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang (USA, Taiwan)
 
PREMIO MIGLIORE STORIA VR (PER CONTENUTO LINEARE) a:
BLOODLESS
di Gina Kim (Corea del Sud, USA)
 

Venezia74. The Shape of Water

Domenica 10 Settembre 2017 18:07
“Se vi dovessi parlare di lei, la principessa muta, che potrei dirvi?” con questo incipit ci si immerge nella vasca di emozioni (fortissime) preparata dal regista messicano Guillermo Del Toro. Siamo nel 1962, l’America corrotta (incarnata dal personaggio interpretato da Michael Shannon) solo apparentemente, perfetta e risoluta vuole essere “Grande Ancora” in piena Guerra Fredda. Strickland (di cui sopra) trascina dentro un laboratorio segreto, con l’approvazione del governo, una campana subacquea, contenente una creatura sconosciuta. Un uomo pesce: venerato in Sud Africa come una divinità, viene ridotto alla misera condizione di cavia, diventa un capro espiatorio, l’oggetto della morbosa, atavica frustrazione dell’uomo che impotente, vuole soggiogare dio. Elisa (Sally Hawkins) una donna ordinaria ma sognatrice, orfana accolta nella casa di un anziano pittore fallito Giles (Richard Jenkins), vive con lui una triste condizione di emarginazione: lei è muta, lui è omosessuale, in una società (fin troppo attuale) che non lascia respiro al “diverso”, una condizione che vive anche la sua collega amica e confidente di colore Zelda (Octavia Spencer). Le due sono le ‘invisibili’ donne delle pulizie dello stabilimento segreto. Ed è là che per la prima volta Elisa sperimenta l’amore. Un gesto, uno sguardo ricambiato, le note di un giradischi, una serie di piccoli delicati muti gesti avvicinano la donna alla creatura, specchio di se stessa e della sua realtà. Gli scenari onirici e quelli cristallizzati nel quotidiano d’epoca, sono fatti di luci blu, verdi e poche pennellate di rosso (in technicolor). A dare una connotazione delicata al dramma c’è la colonna sonora firmata dal compositore francese Alexandre Desplat (per questo scherzando Del Toro lo ha definito “il suo film francese”). Il plauso più grande va al trucco tradizionale e a Doug Jones, performer che da più di 20 anni lavora con il regista, sotto la maschera della creatura volutamente senza nome, come spiegatoci in conferenza stampa (durante la 74esima edizione del Festival di Venezia) egli rappresenta la perfezione o il suo contrario come il protagonista di “Teorema” di Pasolini (1968). Siamo difronte ad un film diverso, che genera inquietudine per i temi trattati e ci libera dalla prigione del classico schema mentale per cui il mostro crudele vuole possedere la bella ed è l’eroe a portarla in salvo. Come in Crimson Peak (2015),  ancora una volta il regista ha dimostrato con  passione meticolosa, ‘studio matto e disperatissimo’ e profondo rispetto per la materia di saper trasformare un genere cambiando le carte in tavola. Nel precedente citato quello della Gothic Romace, dove il matrimonio non rappresentava un lieto fine ma l’esatto contrario, qui allo stesso modo il suo “mostro della laguna nera” (l’originale a cui fa riferimento deliberatamente è del 1954) scambia il suo posto con quello dell’eroe. Ben lontano dall’essere soltanto una “favola” (se non nella sua definizione più pura, quella delle orride e sadiche vicende raccontate dai fratelli Grimm) è la sua pellicola più cruda, forse la più violenta, dopo Chronos (1993) ma conserva la dolcezza de “Il Labirinto del Fauno” (2006 vincitore di tre premi Oscar). In un mondo cinico dove si ha paura di parlare d’amore, Del Toro lo fa secondo il suo gusto personale, “l’amore è la forza più importante dell’Universo” e “la cosa che mi terrorizza di più” - ha detto quello che viene definito dai più anche un ‘maestro dell’horror’- “è il fatto che si abbia paura di parlarne”. Il regista ci riesce ancora, in un film dove anima e cuore, sono più forti delle parole. 
 
Francesca Tulli  
 
 
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L’immagine che sicuramente non dimenticheremo dell’edizione 74 del Festival di Venezia è il grande e grosso regista messicano Guillermo del Toro (Il labirinto del Fauno, 2006), che stringe tra le mani il Leone d’Oro del Miglior Film. Si perché è riuscito, con la sua personale versione del Mostro della Laguna nera (1954), a salire dalla categoria B a quella A, regalandoci un film poetico di forte impatto visivo. Ha stregato la giuria del Festival, che contro ogni previsione lo incorona Re del Lido. Potremmo dire: “Venezia osa più dell’Oscar!”. Il Leone d’Oro ad un fantasy. La forma dell’acqua del titolo rimodella un premio che negli ultimi anni aveva perso un po’ del suo smalto e di questo l’Academy dovrebbe farne tesoro. Uscire dal conservativismo e portare il premio cinematografico più prestigioso del mondo nel nuovo millennio.
 
The Shape of Water ci riporta negli anni 60’ della Guerra Fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, all’interno dei complotti e delle manovre segrete delle due super potenze. Un uomo pesce (Doug Jones, che interpretò il Fauno nel film del regista messicano) viene catturato dagli americani per essere studiato.  Nascosto in una struttura governativa, non sfugge però allo sguardo di Elisa (Sally Hawkins, Blue Jasmine - 2013), donna delle pulizie muta. I due, in un primo momento si studiano, poi si innamorano. Ne scaturisce una romantica storia d’amore tra diversi. Una sorta di Bella e la Bestia per adulti. Non mancano neppure gli aspetti drammatici e quelli classici della spy-story, e il tutto è sorprendentemente equilibrato. Assistiamo così ad un film, che in se porta la vera essenza del cinema, intrattenere con magia e con quel giusto pizzico di impegno, che ci fa dimenticare per 2 ore (la durata del film) tutti i nostri acciacchi quotidiani. 
 
Forma e sembianze umane dell’acqua sono impresse su pellicola dal visionario regista Del Toro, che qui crea anche soggetto e sceneggiatura. La sua messa scena è capillare, da vero artigiano. Incredibilmente minuziosa e di qualità. Regia dinamica e frizzante, ne è testimone la vorticosa presentazione iniziale, dove avvolgenti e musicali carrellate dall’alto verso il basso portano la macchina da presa nelle case dei protagonisti fino al cinema nostalgico del primo piano. Regia che allo stesso tempo diventa morbida, in grado di avvicinarsi al volto di Elisa con dolcezza carpendo le mutazioni del suo cuore. Non dimenticandosi mai dell’acqua: la vera protagonista. Una direzione artistica emozionata, che porta lo spettatore a vivere in prima persona le scene sullo schermo. Il dizionario creato dell’autore dà vita ad un linguaggio concreto e comunicativo, accessibile a tutti. Un esempio lampante è l’uso del colore: le scarpe rosso fuoco di Elisa sono la metafora del calore e dell’amore che porta all’interno della sua anima. 
 
Il tema di fondo è quello delle diversità; abusato al cinema, ma qui non banalizzato. Un diverso burtoniano, il mostro che cela dolcezza e umanità dietro la sua sudicia facciata, ma i veri mostri sono le persone normali. L’universo creato da del Toro è l’antidoto contro il male. E’ una favola per reagire ai mostri contemporanei e alle assurdità del razzismo, sessismo e della politica assolutistica, tutti temi sviscerati nel film.
 
I personaggi sono completi e curati. Hanno tutti una forte caratterizzazione ed una tangibile storia alle spalle. Base che fa da trampolino per un pregevole sviluppo narrativo, fatto di storie nella storia. Sally Hawkins è superba nel portare in superficie l’anima incontaminata di Elisa. Una sola espressione del suo volto vale più di mille parole, per non parlare dei movimenti del corpo, armonici e musicali. La sua è una persona vera ed attuale. 
Tra le eccellenze tecniche del film si segnala la piovosa fotografia di Dan Laustsen (Crimson Peak, 2015) e la colonna sonora del maestro Alexandre Desplat. Un commento musicale che si sposa con il romanticismo del film, ma capace anche di zone oscure.
 
The Shape of Water è una storia personale, nella quale incontriamo un diverso che è in grado di cambiare le vite delle persone che incontra. Una creatura senza nome che ha significati differenti per ognuno dei protagonisti. Guillermo del Toro, al suo decimo film, realizza la sua opera più matura. Una favola gotica che è anche cinema puro. Completo sotto tutti gli aspetti. In grado anche di omaggiare con gusto le pellicole e i musical dell’epoca.
 
David Siena
 

La fiera delle illusioni - Nightmare Alley

Giovedì 27 Gennaio 2022 12:11
Soffocato dai ricordi, inseguito da un incubo ricorrente, il giovane Stanton “Stan” Carlisle (Bradley Cooper) alla ricerca disperata di un lavoro, si propone come tutto fare al padrone di un circo degli orrori Clem Hoatley (Willem Defoe) una carogna, avida e senza cuore, che nel suo baraccone di “meraviglie” tiene addirittura un povero malcapitato ubriacone disperato come “uomo bestia” e lo nutre di polli vivi, assicurandosi che sopravviva ogni sera alle sue percosse. Stan grazie al suo carisma riesce a trovarsi uno spazio tutto suo. Ottiene una branda su cui dormire dove sembra essere a suo agio nonostante sia circondato da una spettrale serie di feti in barattolo, bambini mai nati, della collezione personale di Clem, tra cui spicca quello soprannominato Enoch, un ciclope da un solo occhio che sembra seguire ogni sguardo. Quando comprende che “l’opera dei poveri” può offrirgli molti di più di spostare pesi e fare commissioni, entra nelle grazie della cartomante Madame Zeena (Toni Collette) e si fa ben volere da suo marito il vecchio Pete (David Stratharin) mentalista in pensione, che ritiratosi dalle scene per scrupoli di coscienza su di un taccuino rilegato in pelle custodisce ancora gelosamente i trucchi del mestiere. Stan dunque apprende come esercitare la telepatia, la chiaroveggenza, la precognizione e l’ipnosi e mostra di avere un talento per l’illusionismo che sfrutta per uscire da ogni situazione spiacevole. I due lo mettono in guardia, giocare con i sentimenti delle persone è pericoloso e ferisce i “gonzi” quanto gli incantatori, e nel tempo per entrambi le conseguenze possono essere disastrose. Tra le tante amenità proposte dal circo, c’è il numero di Molly Cahill (Ronney Mara) la ragazza che riesce a sopportare enormi scariche di elettricità. La giovane cattura l’interesse di Stan, che come in una fiaba, la invita  a ballare sulla giostra dei cavalli sotto la pioggia, promettendole di fuggire con lui alla ricerca di nuove prospettive e di vedere “Il mondo e ciò che contiene”. Il futuro gli riserva lontano dalla povertà la scintillante America dell’epoca d’oro di Roosevelt, dove Stanton popone i trucchi di mentalismo all’alta società e fa la conoscenza della dottoressa Lilith Ritter (Cate Blanchett) una psichiatra diabolica che come lui conosce la crudeltà della vita e la complessità della suggestione. “Nightmare Alley” è la trasposizione dell’omonimo libro del 1946 dello scrittore americano William Lindsay Gresham, il regista Guillermo del Toro appassionato e conoscitore delle sue opere  lo ha scelto come soggetto data la sua importanza storica e culturale nonostante, il tema sia stato abusato nel tempo. Sua la scelta di prediligere un ritmo calmo e disteso (accompagnato dalla colonna sonora di Nathan Johnson) dove non si sente il bisogno di indovinare il finale della vicenda, bensì, quello di conoscere i suoi protagonisti (respingenti) raccontati con minuzia di particolari a fronte di una magnifica scenografia, dove la suggestione è data dalla ripetizione di motivi concentrici (come nelle sue opere precedenti) gli abiti accurati e la peculiare bellezza della mostruosità firma del regista che incanta con ogni suo film il suo affezionato pubblico. 
 
Francesca Tulli