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Ma Loute

Sabato 21 Maggio 2016 21:53
Nella baia dove il fiume Slack incontra il mare della Channel Coast vive una famiglia dedita alla pesca di molluschi: i Bréfort (Caroline Carbonnier, Thierry Lavieville). Durante le estati devono condividere questo splendido luogo con degli aristocratici: i Van Peteghem (Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrice Luchini, Jean-Luc Vincent). Quest’ultimi soggiornano in una decadente villa, che sovrasta dall’alto tutta la baia. Siamo precisamente nel 1910 quando una serie di illustri sparizioni sconvolgono la vita di questa ridente località marina. Gli ispettori Machin e Malfoy arrivano sul posto per investigare sulla scomparsa dei turisti. Trovano una buona accoglienza da parte della comunità del luogo, disponibile a collaborare. Ma Loute (Brandon Lavieville), primogenito dei Bréfort e Billie (Raph), la giovane ragazza dei Van Pateghem, istaurano un rapporto d’amore, che sembra spezzare ogni vincolo sociale. Insieme aiutano gli investigatori   in modo da ridare alla baia quella tranquillità ormai perduta.
 
Con un impianto da black-comedy, l’ultimo lavoro di Bruno Dumont (Humanité e L’età inquieta tra i suoi film più riusciti) sbarca sulla Croisette strappando copiose risate in linea con il consenso. Ma Loute ha un sceneggiatura originale scritta dallo stesso regista. Insolito abbinare il nome di Dumont ad un lavoro che non sia un adattamento. L’autore francese predilige trasporre dai romanzi, usandoli come base per poi riadattarli a proprio piacimento. La sua peculiarità sta nel donare alla narrazione una propria anima artistica. Anche Ma Loute ha un cuore che batte di arte propria. Prendendo i fondamenti dell’arte dei primi del novecento: eliminazione della prospettiva, modifica del senso di ordine e proporzione e uso di immagini fantastiche che scavallano nel grottesco e nell’assurdo, dirige un film che si allontana da qualsiasi tipo di realtà. Realizza così una versione aggiornata di quei principi, usando una new Famiglia Addams (I Bréfort) abbinandola ai personaggi di Dark Shadows (I Van Pateghem). Così facendo ripropone ed attualizza l’arte dell’epoca, donando al lungometraggio delle figure anti convenzionali, che gridano la loro diversità in salsa pop. Il fine ultimo non è giudicare, ma raffigurare con calda schiettezza la vita dei suoi strambi personaggi, anche quando sono mostri che mangiano (letteralmente) altri mostri.
 
Ma Loute, che ha già un’uscita italiana, esattamente il 25 agosto, gioca e si mette inizialmente dalla parte della classe operaia. I benestanti cedono ai colpi inflitti dalla bizzarra famiglia di pescatori, che si prendono gioco di ogni istituzione possibile. Arriva però anche un punto di unione: il rapporto che galleggia in acque tempestose tra Ma Loute e Billie, che vede dei moderni Montecchi e Capuleti obbligati a dialogare ed aiutarsi per sopravvivere. Il tutto si chiude e si riallinea quando la provvidenza eleva (materialmente) i Van Pateghem verso un’esoterica e grottesca grazia divina. 
E’ qui che Dumont calca la mano e allunga (di minutaggio) il suo lavoro, con un’esasperazione nella caratterizzazione dei suoi personaggi, facendo così ridondare dei concetti ormai chiari.
 
In splendida forma Fabrice Luchini, fresco vincitore della Coppa Volpi all’ultimo Festiva di Venezia per la sua prova nell’Hermine, ci regala un protagonista, che ad ogni battuta non smette di stupire con il suo scanzonato e borghese atteggiamento tendente al ridicolo. Anche il resto del cast è diretto con passione e non manca di divertire con esilaranti “comiche”.
 
Peccato proprio per il perseverare ad ingrandire, da parte del regista d’oltralpe, un già delineato universo. Palesemente compiaciuto davanti allo specchio delle sue creazioni, Dumont non vede che il proprio riflesso riempie ogni centimetro dello schermo rendendo il tutto troppo ingombrante.
 
David Siena