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Visualizza articoli per tag: christian bale

American Hustle

Domenica 02 Febbraio 2014 00:47
Dimentichiamoci gli addominali scolpiti di Batman. Pensiamo a Christian Bale lardoso e con i capelli posticci. Perché così si presenta in American Hustle. Lui, Irving Rosenfeld, coperto dalla sua catena di lavanderie, è in realtà furbo e imbroglione, commerciante di quadri falsi ed esperto in truffe alla povera gente. Affiancato da Sydney Prosser (Amy Adams) sua amante e compagna d’affari dalle scollature mozzafiato. Entrambi finiscono in un giro d’imbrogli più grande di loro, ideato dall’fbi con lo scopo di incastrare mafiosi e pezzi grossi del governo. La manovra è portata avanti dall’agente Richie DiMaso (Bradley Cooper) spesso senza approvazione dei colleghi. I suoi ingressi a petto scoperto e riccioli cotonati lo rendono folle e a tratti incompreso. Sente di avere la situazione in pugno e non recede mai dal passo successivo. 
Il caso coinvolge tutto il resto del cast: Jennifer Lawrence, nei panni di Rosalyn, moglie isterica ed egocentrica, Jeremy Renner, è Carmine Polito, sindaco-eroe di Atlantic City che ha a cuore la gente del suo paese ed agisce per loro, ma non si tira indietro se ha qualche affare sottomano. A sorpresa, nel retro di un casinò, un De Niro in un mini dialogo in arabo. 
Attori effervescenti, come la sceneggiatura, firmata da Eric Singer, che ripercorre il periodo dello scandalo Abscam a New York a metà anni settanta, e fa sconfinare il dramma in pura ironia, le bugie in pura verità.
Ridicolezza ed eleganza si fondono alla perfezione rendendo unico ogni personaggio. Ognuno, a suo modo, contribuisce al delirio dei fatti presentatici. 
E se “l’apparenza inganna” appunto - estensione del titolo inevitabile - l’apparenza è tutto ciò che conta in questo film, che sia dei personaggi o di una farsa scenica, purchè sia apparentemente affascinante.
American Hustle centra in pieno le tematiche di interesse collettivo, coniugandole a humor americano e infiltrazioni italianeggianti.
David O. Russel alterna scene di gangster moderno, a scorci di vita privata al di sotto delle apparenze: rapporti familiari indefiniti, distrazioni in casa, fughe di sentimenti.
Geniale il gioco di truffe che si scompongono a matrioska…e a proposito di bluff, questo film ha tutte le carte in tavola per tenere lo spettatore incollato allo schermo e alla poltroncina.
La maestria di David O. Russell è vincente, fino all’ultimo dettaglio prima dei titoli di coda.
Egli non fa in tempo a respirare dagli apprezzamenti delle ultime due regie precedenti, The Fighter del 2010 e Il lato positivo 2012, che già sforna un nuovo successo. Mantiene stretti i suoi attori favoriti e li ricicla, come le sceneggiature, riadattate ai suoi film e riportate nel contemporaneo, da trame di romanzi e di storie già sentite. Ci mostra altre visioni, trasforma un super eroe in un truffatore e la ragazza di fuoco in una svampita signora, e la Lawrence ci riesce benissimo.
Insomma un O. Russel che pure se agli esordi riesce pienamente a guadagnarsi spazio tra i grandi nomi. Del resto questo mestiere è per chi fa magia e lui, come mago, ci piace.
 
 
Francesca Savoia
 

Il fuoco della vendetta

Lunedì 04 Agosto 2014 14:29
Braddock (Pennsylvania). L'operaio Russel Baze (Christian Bale) si alterna tra un lavoro senza prospettive di futuro in un'acciaieria e le cure del padre malato terminale. Suo fratello Rodney (Casey Affleck), dopo quattro anni di servizio militare in Iraq, rimane coinvolto in un giro di  incontri di lotta clandestini e scompare misteriosamente. Davanti all'incapacità della polizia di fornire risposte concrete, Russel si mette privatamente alla ricerca del fratello. Le traccie lo porteranno sulla strada di Harlan DeGroat (Woody Harrelson), spietato boss della malavita locale.
Il sogno americano, propinatoci a partire dal secondo dopoguerra, è definitivamente  fallito e Scott Cooper sembra essersene accorto solo oggi.  Insomma, meglio tardi che mai. Il regista di Crazy Heart mette in scena la storia di un anti-eroe sconfitto della classe operaia americana che si interroga sul senso di giustizia, vendetta e coraggio. Le dinamiche però sono quelle trite e ritrite del rabbioso provincialotto filo repubblicano che, di fronte alla totale inadeguatezza del poliziotto grasso di turno (Forest Withaker), imbraccia il fucile da caccia per farsi giustizia da solo, in nome del più tradizionale dei valori: la famiglia. 
I protagonisti,  simboli del fallimento dello sfavillante sogno americano, sono quelli a cui il proprio paese, “la terra delle opportunità”, ha sempre voltato le spalle; il padre muore di cancro dopo una vita passata in acciaieria, mentre Rodney lotta per non affogare nei ricordi strazianti dell'Iraq e nella condizione di immobilità che gli si pone davanti. 
Tuttavia la rabbia di questa classe subalterna è rabbia di plastica, falsa, artificiosa e secondaria rispetto al vero obiettivo del film, che tenta civilmente di abbellire, ossia,  intrattenimento trasversale made in U.S.A.
Niente a che fare con il disturbante Killer Joe (William Friedkin, 2011), ritratto di un'America dominata dal caos, in cui la violenza dello Stato stupratore si abbatte spietata su una famiglia di redneck texani.  
L'apice massimo del film di Cooper rimane comunque l'omicidio di Rodney per mano  del malvagio DeGroat, consumato con una ritualità da sacrificio umano, mentre le immagini di un cervo appena cacciato e scuoiato da Russel e zio Red si alternano nel montaggio. 
La storia d'amore troncata fra Russel e Lena (Zoe Saldana, invece, è un elemento inserito svogliatamente più per compromesso commerciale che per far fronte a una concreta esigenza narrativa.
Gli attori (da Bale a Dafoe, da Affleck a Harrelson) sono indubbiamente fra i più talentuosi del panorama hollywoodiano contemporaneo, ma le loro perfomance sono irrimediabilmente compromesse da personaggi pensati male in partenza.
È come infatti se a Cooper nulla interessasse veramente, come se tutto gli fosse indifferente. Il risultato è una sceneggiatura insapore dalle deboli ambizioni civili e una messa in scena noiosa e priva di personalità che è valsa a Cooper il premio per la miglior opera prima/seconda al Festival Internazionale del Film di Roma (come se questo fosse mai stato un sinonimo di qualità).
Dopo la crisi economica del 2008, parte dell'industria hollywoodiana sembra propensa a sfornare un numero sempre più rilevante di pellicole che mettono in dubbio lo spietato sistema economico capitalista, sul quale, per altro, sono fondati gli stessi studios.
Inoltre è ormai nota a tutti la propensione delle major cinematografiche americane di grattare il fondo del barile; ma ha veramente senso che Hollywood racconti le condizioni operaie utilizzando le medesime formule con i medesimi risultati di trent'anni fa? Il duello finale fra Bale e Harrelson nell'acciaieria, simbolo del sacrificio operaio, ne è forse il risultato più aberrante. 
 
Il fuoco della vendetta – Ouf of the furnace, prodotto da Leonardo Di Caprio e Ridley Scott, uscirà nelle sale italiane il 27 agosto. Fate voi. 
 
Angelo Santini