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Automata

Mercoledì 11 Marzo 2015 11:22
La realtà di Blade Runner era una caccia alle streghe, ai replicanti difettosi, controllati dall'istinto di provare emozioni pericolose e fin troppo umane. I padri della fantascienza di genere come Philip K. Dick, hanno generato involontariamente capolavori indiscussi e disastri dimenticabili, al cinema abbiamo visto fin troppe volte la stessa minestra, robot che si ribellano al genere umano, salomonici conflitti irrisolti di  registi che puntano a sorprendere con l'effetto speciale più che cercare di dare un punto di vista differente.
Asimov scrisse agli inizi degli anni quaranta le tre leggi della robotica. Nella realtà di Automata immaginata dal regista spagnolo Gabe Ibanez, al suo secondo esordio cinematografico, ci sono solo due regole che permettono la convivenza dei robot con gli esseri umani : le intelligenze artificiali non possono nuocere a nessuna forma di vita e non possono modificarsi o modificare i propri "simili". In una città fatiscente, post apocalittica Jacq Vaucan (un post atomico Antonio Banderas), assicuratore per la ditta ROC che produce gli automi,  è il classico  "giusto in un mondo di ingiusti" ma il disordine  persevera  e gli umani scaricano le proprie colpe  sui  robot di casa, indifesi capri espiatori di frustrazioni e silenziosi spettatori di crimini di ogni tipo. Davanti a un incredulo poliziotto, un rottame senza padrone in un sudicio capanno dei bassifondi, senza una apparente spiegazione, comincia a ripararsi da solo contravvenendo alla legge e agendo di propria coscienza come non sarebbe  possibile. Da questa insurrezione si scatena il caso che genera il caos e una ossessiva ricerca della verità da parte del protagonista che è, come spesso accade, diviso tra il dovere e la famiglia. Questo film sembra attingere da storie già scritte, tematiche già affrontate, scenari già visti, cliché superati, ma sorprende: pulito, semplice, logico, genera riflessioni interessanti, passando dal "già visto" al "classico" in pochi passaggi. In un deserto di novità, sotto il sole cocente di un panorama fantascientifico sterile, vedere un Banderas arrugginito che arranca nel deserto con quattro automi in cerca di risposte smuove domande sul cosa significa essere vivi e funziona. Bellissima la robot prostituta Cleo (Fritz Lang l'avrebbe forse accolta in Metropolis)  giocattolo erotico modificato per soddisfare il bisogno di violenza del bipede uomo, Eva, madre, femmina e strumento di vita per una società senza futuro. Quando ci ritroviamo davanti un'opera  come Automata il pericolo di trovarci a combattere con la noia è quasi una certezza ma questa sfiducia  ci permette di apprezzare una pellicola ben riuscita senza pretese con effetti visivi efficaci, dimostrazione che anche con un basso budget si può plasmare uno scenario credibile dove i robot piangono lacrime di metallo e gli uomini sperano di dimenticarsi cos'è la violenza.
 
Francesca Tulli