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Diabolik. Questione di anima e pantere.

Mercoledì 04 Novembre 2020 14:13
Ambientato, seguendo una grande fedeltà al contesto e riprendendone lo stile visivo, in un periodo verso la fine degli anni 60, Diabolik, la cui uscita è prevista nelle sale il 31 dicembre, sta già facendo molto parlare di sè. I Manetti Bros, registi, sceneggiatori e autori del soggetto, quest'ultimo scritto insieme a Mario Gomboli (responsabile e direttore editoriale della serie a fumetti), ne hanno discusso proprio pochi giorni fa in occasione del Lucca Comics.
 
L'ambientazione anni 60, fortemente consigliata da Gomboli, sembra essersi rivelata una scelta fortunata e molto stimolante, con una ricerca estremamente minuziosa. Si parla addirittura di un inseguimento, nella scena iniziale del film, ricostruito utilizzando la cartina di Clerville sulle strade di Milano.
Gli anni 60, a detta dei Manetti, sono forse un'epoca in cui si sognava più di adesso ed era più facile credere in un personaggio che si infila la maschera e si trasforma in qualcos'altro. Quell'epoca ha permesso di entrare in un sogno molto più facilmente.
 
La forte diversità rispetto a tutti i precedenti trattamenti è un'altra peculiarità di questo lavoro. La difficoltà nel passato è stata proprio quella di trovare un soggetto attinente al fumetto, che da questo partisse senza discostarsi troppo. I Manetti sono riusciti a mantenere questa aderenza con la narrazione della storia creata dalle Sorelle Giussani, perché reali fan del fumetto, senza stravolgerne mai l'essenza. Parola di Gomboli. 
 
Accanto a Luca Marinelli nei panni di Diabolik, troveremo anche Miliam Leone (Eva), Valerio Mastandrea (Ispettore Ginko), Serena Rossi, Claudia Gerini, Alessandro Roia.
 
 
Ecco cosa è venuto fuori dall'incontro.
 
Come mai la scelta di far iniziare la storia proprio dall'albo n.3?
 
Mario Gomboli 
Secondo me il vero inizio di Diabolik è esattamente con l'albo n.3, quando si distacca da Fantomas e trova una compagna di vita che lo arricchisce rendendo la sua personalità molto più profonda e sfaccettata. All'inizio poteva essere un killer spietato che ammazza senza troppi pensieri, ma soltanto l'arrivo di Eva, che solamente due donne avrebbero potuto tratteggiare in modo così efficace, fa sì che lui rifletta su se stesso e che riesca a comunicare al lettore questa profondità. Fa un'autoanalisi che non è dichiarata ma che si legge tra le righe e che lo trasforma in un personaggio complesso. Se vogliamo dire che questo film parte dagli inizi di Diabolik è vero, parte dal momento in cui Diabolik diventa lui stesso, non più un figlio del passato. 
 
 
Eva sembra proprio indispensabile per Diabolik...
 
Marco Manetti
Diabolik si chiamerà  sempre Diabolik ma in realtà è Diabolik + Eva. La sua unicità nasce dalla componente femminile con cui le Giussani l'hanno scritto, fondamentale per lui, per definire se stesso.                                                                                                                                                       
 
Antonio Manetti
Da quando entra Eva in scena Diabolik si apre ad una componente psicologica che prima non era dettagliata e, da questo momento in poi, è difficile non immedesimarsi in lui. Nei dialoghi che hanno Eva e Diabolik si capiscono le motivazioni delle scelte di Diabolik, il senso di sfida, la sua anarchia, senza essere il cattivo tout court e sadico che, prima dell'entrata in scena di Eva, sembra solo un'ombra nera che uccide e ruba. 
 
Ribaltamento di prospettive
 
Marco Manetti
C'è un forte tono femminista nella storia.  Statisticamente, e ciò conferisce un'unicità nel mondo del fumetto, è più spesso Eva che salva Diabolik che il contrario, che è una rottura totale del cliché eterno della bella in difficoltà e dell'eroe che la salva. Ogni tanto lei glielo ricorda, glielo dice proprio in una battuta "Guarda che se hai ancora la testa sul collo è opera mia". Anche per questo Diabolik è l'unico personaggio non triste in una realtà spoglia e cupa solo dove Diabolik e Eva sembrano divertirsi 
 
Come è avvenuta la scelta degli attori?
 
Antonio Manetti
Scegliere gli attori è stato complicato perché si parlava di una trasposizione fra mezzi comunicativi differenti, quindi la scelta doveva essere per forza personale senza avere termini reali di confronto. Perciò abbiamo privilegiato, più che una somiglianza estetica, attori adatti al ruolo e bravi. Eva è venuta molto più automatica come scelta perché desideravamo da un po' lavorare con Miriam Leone, mentre avevamo più indecisione riguardo Diabolik e Ginko, rappresentando due icone molto forti. Abbiamo fatto anche un provino a Marinelli perché, pur essendo un attore eccezionale, rispetto al personaggio ha delle differenze e dovevamo convincerci che potesse diventare lui, facendo un suo Diabolik con delle caratteristiche che conferissero un'umanità che dalle tavole fredde del fumetto non fuoriesce. In questo Luca è stato molto di anima, dandogli spessore interiore.
 
 
 
"Mi ispiro alla pantera"
 
Marco Manetti
Dovevamo trovare l'umanità di uno sguardo, della voce, di un gesto involontario e con Luca è venuta fuori un'umanità profonda. Tu senti che quest'uomo freddo, glaciale, intelligentissimo, anche molto cinico, ha qualcosa dentro che ruggisce. Lo diceva anche Luca continuamente "io mi ispiro alla pantera", perché Diabolik nei fumetti ha un'origine legata ad una pantera, e questo è un suo apporto che ha conferito profondità al personaggio. Così come Valerio dà a Ginko una sorta di disincantata, malinconica, ironia.   
 
Per quanto riguarda l'abito di Diabolik, come avete lavorato?
 
Marco Manetti
Diabolik ha un dolcevita alla Michael Caine, non è esattamente una tuta completa, è difficile descrivere l'abbigliamento che abbiamo studiato senza togliere la magia. Ci siamo detti che Diabolik gira in tuta aderente e maschera per non farsi vedere nell'ombra e se all'improvviso lo beccano si toglie il cappuccio e potrebbe sembrare un passante qualsiasi. Abbiamo cercato quindi di fare uno stile vintage, creando un mix tra un abito normale e la classica tuta del fumetto. 
Per la maschera ci ha aiutato Sergio Stivaletti, è in realtà un calco sul volto di Marinelli rifatto di nero. E' come se la sua maschera fosse la maschera di se stesso, annerita per rendersi invisibile nell'ombra, ma con l'incavo degli occhi per mantenere libero il suo sguardo. 
 
Antonio Manetti
Ispirati dal film di Bava, che aveva lavorato in modo interessante sull'abbigliamento, abbiamo deciso lo stacco tra la maschera e il vestito, cosa che nel fumetto non c'è, facendo sembrare un unico pezzo. 
 
E cosa ne pensa Gomboli del film?
 
Io non ho ancora visto il film ultimato, ho però avuto modo di visionare un montaggio non ancora definitivo, senza musiche o effetti particolari. 
Quella che mi ha affascinato di più è Miriam Leone perché ho ritrovato in lei Eva Kant, come si muove, le espressioni, le sfumature che dà, a tal punto da essere a mio parere entrata perfettamente nella parte. Per quanto riguarda Mastandrea l'ho trovato molto calzante, il suo aplomb è stato essenziale, addirittura ha imparato a fumare la pipa e a tenerla in bocca non essendone un fumatore. Marinelli è Diabolik e non c'è niente da fare. Il suo temperamento, la freddezza di fondo, i suoi occhi non saranno grigi con il medesimo taglio ma sicuramente sono in grado di comunicare il gelo interno e l'indifferenza per il mondo che lo circonda, Eva a parte sicuramente, che sono le peculiarità di Diabolik.
Sul costume ne abbiamo parlato molto coi Manetti perché c'era il pericolo di essere troppo impeccabili a tal punto da scivolare sul supereroe Marvel. Imbottito sarebbe stato ancora peggio, e Diabolik non è un supereroe, anzi il suo punto di forza è che è un essere umano normale che può essere ferito, non ha una tuta antiproiettile, non è indistruttibile perché viene da Krypton, per cui è giusto che abbia anche in questo dei "difetti".
 
Chiara Nucera

Diabolik

Giovedì 16 Dicembre 2021 13:15

Diabolik ha “mille volti” ma sono maschere, non è “un eroe”. È il protagonista affascinante di una serie a fumetti progressista che portò alla nascita del genere “fumetto nero italiano” creato nel 1962 da due donne, Angela e Luciana Giussani, due sorelle milanesi che ne scrissero più di 800 storie.

Sono stati i registi Marco e Antonio Manetti a trovare il favore e l’aiuto nella stesura del soggetto di Mario Gomboli, attuale detentore dei diritti della casa editrice Astorina, per la riduzione cinematografica, dichiarando fin dal principio di voler scrivere non “un film su Diabolik” ma il “film di Diabolik” con tutti i suoi difetti, con tutte le sue sporcature, un ladro che senza “rubare ai ricchi per dare ai poveri” si fa beffa della legge e la fa sempre franca. Siamo negli anni Sessanta a Clerville (le strade di Bologna in questo caso fanno da location), l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea) insegue una Jaguar E-Type nella notte. Di Diabolik (Luca Marinelli) vediamo solo gli occhi, le mani al volante, fugge dall’inseguimento con l’ennesimo trucco di prestigio. La legge è sua acerrima nemica, ha un nascondiglio dietro ad una montagna di cartapesta, si annida nella casa della facoltosa Elisabeth (Serena Rossi), sua ignara amante, usando lo pseudonimo di Walter Dorian. Una vedova, la bellissima Eva Kant (Miriam Leone), torna dall’Africa a Clerville con la sua cospicua eredità. Tesori inestimabili tra cui un diamante rosa, Diabolik deve rubarlo.

Eva è scaltra, conosce gli uomini, si trascina dietro di sé il viceministro Caron (Alessandro Roja), un uomo grezzo che le fa la corte, ma il suo cuore è più complicato. Quando Diabolik si intrufola nella sua stanza d’albergo, la bracca con un coltello e la guarda negli occhi, quello sguardo basterà ad entrambi per accorgersi della loro somiglianza. Tra i due nasce un grande reciproco amore. È nel fumetto numero 3 (1963) che fa la sua prima comparsa Eva Kant, una “Catwoman” nostrana, figlia dell’amore per la filosofia delle autrici (il cognome Kant è un riferimento a Immanuel Kant), il suo ruolo è centrale, mette quasi in ombra il suo partner, che a favore di sceneggiatura in questo film viene interpretato da tanti attori, quelli di cui ruba l’identità. Diabolik con le sue maschere in silicone riesce a simulare altre persone, caratteristica particolare, resa possibile grazie al lavoro di composting di Diego Arciero. Gli effetti speciali di questo film sono tradizionali, ricordano quelli del cinema di Bava (Mario Bava nel 1968 adattò egli stesso il fumetto nel suo film Danger: Diabolik), c’è del posticcio nell'utilizzo di materiali “teatrali” ma che rende tutto assolutamente verosimile. Anche i costumi di Ginevra de Carolis, sono perfetti considerando quanto è difficile rendere credibile un personaggio che esce dai tombini di notte con una tuta nera aderente su tutto il corpo. Le musiche sono di Aldo de Scalzi e Pivio con l’aggiunta di un brano inedito di Manuel Agnelli (“La profondità degli abissi”). Gli attori protagonisti ci hanno rivelato (alla conferenza stampa di Roma) di essersi documentati senza farsi influenzare troppo dalle controparti cartacee, rendendo i personaggi propri, così che Valerio Mastandrea si è convinto che il commissario Ginko “non vuole” davvero prendere Diabolik, perché a detta anche del protagonista Luca Marinelli, entrambi non esisterebbero senza l’altro. È una caccia all'uomo che non termina mai, un classico senza tempo che potrebbe risultare anacronistico per certi versi ma mantiene una purezza di base che può attirare anche un pubblico giovane. Il film si divide involontariamente in due “casi” da risolvere, dà a tratti l’impressione di vedere due episodi di una serie televisiva (inizialmente infatti si era pensato di farlo) tuttavia, nonostante questo porti ad un ritmo altalenante, si riesce a trovare una chiusura, con un classico scontro finale. Ha il pregio di essere negli ultimi dieci anni una dignitosa trasposizione di un fumetto italiano, che si trascina dietro una tradizione che (restando nei confini dell'Europa) non ha niente di meno di quella dei BD francesi e, come un diamante prezioso, ha bisogno di splendere ancora.

 

Francesca Tulli