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Visualizza articoli per tag: Naomi Kawase

Radiance (Hicari)

Venerdì 26 Maggio 2017 21:08
Masaya (Masatoshi Nagase), che di professione fa il fotografo, discende verso una cecità senza speranza. Per integrarsi con il mondo dei non vedenti partecipa a proiezioni di film, dove una giovane interprete di immagini, ne descrive le scene. Questo ruolo spetta alla sensibile Misako (Ayame Misaki). Il suo compito non è solo quello di esprimere oggettivamente, ma di riuscire con realismo, nell’arduo compito di trasmettere le emozioni ed i sentimenti, che sono presenti all’interno dalla pellicola. Per lei il suo lavoro è tutto. Questa sua passione gli permette di interagire nel profondo con Masaya, scoprendo le sue fotografie ed il suo sguardo. Tra di loro nasce un intimo e sussurrato rapporto, che permetterà ad entrambe di trovare la luce. Assaporeranno insieme l’abbagliante e calda luminosità della vita e dell’amore, fino ad allora reclusa nell’oscurità. 
 
Nel giorno dei festeggiamenti di Cannes 70, il concorso viene aperto da Radiance, l’ultimo e delicato lavoro della regista giapponese Naomi Kawase. (Le ricette della signora Toku – 2015). Il film è basato sui sensi e sul loro potere, e su come sia difficile accettare di perdere una parte di noi stessi.
Ancora una volta il suo cinema è contraddistinto da un lirismo pronunciato. Alle due stelle della valutazione critica andrebbe aggiunta una mezza stella. A conti fatti il film è ben curato, la messa in scena è capillare e la fotografia si armonizza finemente con gli argomenti trattati. Le note dolenti risiedono in una regia che segue il dramma e l’improvviso amore con troppo incanto. Le inquadrature intime ed i movimenti della macchina da presa sono leggeri come il battito delle ali di una farfalla, ma a questa morbidezza manca un po’ di entità. Sostanza che non ritroviamo neppure nella narrazione, complice anche la poca originalità ed un bagaglio di retorica oltre il peso consentito. Radiance ha una storia semplice, non per questo parte svantaggiata, ma ha qualche esitazione di troppo e le emozioni presenti rimangono incollate ai protagonisti e meno al pubblico.
 
L’autrice e sceneggiatrice nipponica realizza un film simile ad una canzone, peccato che i ritornelli non possano diventare un tormentone. Nelle foto di Masaya e nei frames raccontati dalla perseverante Misako troviamo il cuore dei protagonisti, peccato che il tutto sia troppo convenzionale. Momenti chiave insipidi dove la ricerca del primordiale è esente dallo stupire.
 
Radiance lascia l’amaro in bocca. Il linguaggio usato nella sua forma metacinematografica, mixato con la poesia, è sicuramente ben calibrato, ma eccessivamente semplicistico. Anche la metafora dominante della luce è proprio basica. Infine troviamo anche un commento musicale sproporzionatamente invasivo. La   sensazione nel finale, che la foto di se stessi sia a fuoco e nitida può anche essere legittimata, ma il percorso che intraprende nella camera oscura è incompleto e manca di un concreto colore.
 
David Siena