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Fratelli Nemici - Close Enemies

Giovedì 06 Settembre 2018 12:09
Nati e cresciuti in una banlieue in cui domina la legge del narcotraffico, Manuel (Matthias Schoenaerts) e Driss (Reda Kateb), entrambi immigrati di seconda generazione, un tempo erano come fratelli. Da adulti però le loro vite  si separano: Manuel ha abbracciato la vita criminale, Driss al contrario, è diventato un poliziotto. A seguito di un grande affare di droga andato storto, Manuel sarà costretto ad accettare la protezione di Driss rendendosi conto di essere indispensabili l’un l’altro quando, l’unica cosa rimasta a unirli, è l’attaccamento viscerale al luogo di appartenenza. 
Una città gelida di notti livide e cieli spenti è antefatto e sfondo di questo noir poliziesco, presentato alla 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Dopo l’acclamato Far From Men (basato su un racconto di Camus,sempre presentato a Venezia nel 2014 e con Kateb nel cast ad affiancare Viggo Mortensen), Oelhoffen si affina ancora di più sul dramma psicologico nato da una fratellanza che va ben oltre i legami di sangue.  Ne scaturisce un polar su terre di confine, specchio di una società deviata nella quale si agitano personaggi la cui vita ha percorsi obbligati. Il contesto mostratoci è di assoluta criminalità, tipico di tante storie reali prima che immaginate, dove le uniche leggi presenti sono quelle imperniate sui codici d’onore, di famiglie che si sostituiscono alle leggi dello stato aggirandole, corrompendole, mostrando di muovere ugualmente i loro illeciti su binari paralleli e perfettamente coesistenti. L’unico concetto di economia presente in certi nuclei organizzati è quello dell’homo homini lupus, complici lotte intestine all’interno della stessa fazione, perché alla fine dei conti si arriva sempre soli di fronte alla morte. Due grandi interpretazioni quelle di Schoenaerts  e  Kateb, quest’ultimo eccezionale in un perenne conflitto con se stesso, abitante di un mondo di mezzo tra un’alternativa di vita ed il suo opposto speculare, a monito costante quello che sarebbe potuto diventare, al contrario di Manuel che, nonostante tutta la sua rabbia, resterà sempre un topo in una gabbia. 
Oelhoffen sostiene l’importanza di un lavoro nato da uno sguardo disincantato sulla nuova realtà francese (ormai è storia comune e vicina a tutti), in cui la cultura araba è molto presente. Non c’è una famiglia francese – continua - senza un membro che non abbia un solo legame con qualcuno in Algeria o di origini maghrebine: il centro della Francia e il Maghreb sono intimamente legati, è il frutto della storia coloniale molto tormentata, quello che i suoi lavori cercano di restituire.
Appare chiara la volontà di costruire un film che si concentri sull’aspetto umano, senza voler essere giudicanti o limitati in dei cliché, cercando di mostrare un’umanità a tutto tondo in cui forte è l’identità emotiva. Ogni personaggio potrebbe così essere tranquillamente interscambiabile, a testimonianza che non è una questione di popoli o razze ma di contesto in cui si è inseriti a farci scivolare in certi schemi. L’emotività, qui avulsa dalle azioni commesse al di là di qualsiasi forma di biasimo, è l’aspetto che anche Schoenaerts tenterà di calcare nella costruzione del suo Manuel, il cui operato diviene il mero risultato di imposizioni e regole di un ambiente fortemente compromesso, dal quale ognuno cercherà di uscirne vivo come può.
 
Chiara Nucera