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Sick of Myself

Venerdì 09 Settembre 2022 00:00
Quanto si è disposti a sacrificare di sé per inseguire l’idea del successo, del riconoscimento sociale e mediatico? In un momento storico dove tutto è stato già narrato, discusso e scandagliato, il regista svedese Kristoffer Borgli ci racconta una storia che ha i toni della commedia nera, ma che arriva come un pugno nello stomaco, tramutandosi poi in dramma. Di difficile etichettatura, Sick of myself, presentato in Un Certain Regard a Cannes 2022, è un’opera in cui si ritrova molto del registro stilistico di Borgli. L’essenzialità nei dialoghi, l’uso di una fotografia luminosa in chiaro contrasto con il quadro emotivo dei protagonisti (e di alcune intere sequenze), nonché l’audacia nella critica di una società epidermica che ci ha assuefatti all’effimero, sono solo alcuni degli aspetti che più funzionano di quest’opera. Nel film, la protagonista, Signe, vive una relazione tiepida al confine dell’apatia con il compagno e artista Thomas, figura in piena ascesa nell’ambiente dell’arte moderna di Oslo. Stufa di essere la ragazza satellite di un artista noto, la giovane inizia a mostrare un atteggiamento di sfida nei confronti del successo e della fama del partner. Sprovvista di talento alcuno e vittima di un’indomabile narcisismo tenterà il tutto per tutto pur di farsi notare mediaticamente, nel disperato tentativo di oscurare l’astro nascente del fidanzato. Signe scopre l’esistenza di un farmaco russo con effetti collaterali così pericolosi da provocare terribili problemi alla pelle e alle vie respiratorie. E’ qui che inizia la discesa negli inferi della ragazza, la quale arriverà a sfigurare il proprio volto, perdendo completamente i connotati al solo scopo di attirare un pubblico, di trovare spazio tra la folla di influencer, conquistando quindi l’ambita fetta di notorietà. In una società dove l’edonismo domina incontrastato, facendo della legge del bello la chiave principale per accedere al successo, Borgli sfida lo spettatore arrivando al limite dell’immaginabile. Il martoriamento del corpo diventa l’unica via per raggiungere il traguardo della notorietà, ma soprattutto per richiamare a sé attenzione, dal momento che l’esaltazione del bello è attualmente all’ordine del giorno. 
Il cinema scandinavo riconferma la propria dote naturale alla narrazione di storie imperniate su processi psichici, nella fattispecie, sulla percezione del sé come entità in una perpetua condizione di alienazione dalla comunità, e nel caso di Signe, dal proprio corpo. Ancora una volta la disfunzione sociale, contamina il territorio dell’Io facendosi carico di uno spesso sostrato di incertezze interiori, mosse da una mordente fame di sentimenti e riconoscimento identitario. La protagonista, attraverso un violento processo di ricerca del sé, di una propria soggettività, raggiunge l’obiettivo programmatico: l’eclissi del valore artistico del proprio compagno. Un viaggio disturbante capace di suscitare un caleidoscopio di sentimenti che oscillano continuamente tra commiserazione, ribrezzo giungendo infine alla malinconia. Sick of myself è un film che porta agli estremi il linguaggio cinematografico, ponendoci dinnanzi a quello che sta prendendo forma ora, attorno a noi: la minaccia di un’esistenza incapace di concepire e capire il valore dell’uomo e della sua soggettività. Disponibile alla visione solo su  MUBI. 
 
 
Giada Farrace