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Visualizza articoli per tag: Damien Chazelle

La La Land

Domenica 11 Settembre 2016 08:45
Lo scorso anno “Everest”, film d’apertura dell’edizione 72 della Mostra del Cinema di Venezia, aveva portato il gelo sul Lido, raffreddando da subito gli animi. Quest’anno invece, un sole caldo caldo scalda i nostri cuori e li tocca con la musica dell’amore. Grazie a La La Land (pellicola scelta per aprire Venezia 73), musical romantico dal sapore vintage diretto da Damien Chazelle, regista del pluripremiato Whiplash (2014). Sembrerebbe proprio un film necessario in questi periodi storici, inzuppati del male più bieco. Un film che ci riconcilia con la vita e ci fa riscoprire i buoni sentimenti. La nascita dell’amore e il suo piacevole andamento musicale trasporta i due protagonisti, Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling), verso la realizzazione dei propri sogni. La semplicità e la forza del sentimento più potente che ci sia dovrebbero farci capire che le dannazioni dell’animo contemporaneo sono solo una nostra creazione. Sarebbe tutto così lineare se solo non ci lasciassimo influenzare dalle mode, che sentono solo la voce dell’apparire e del dover soffrire in continuazione nel raggiungimento e nel compimento dell’amore. Bentornati sognatori, questo è il film per voi. 
 
“La” è la particella musicale per indicare L.A. (Los Angeles), luogo dove è ambientato il film. Qui, la giovane aspirante sceneggiatrice/attrice Mia incontra il musicista jazz Sebastian. Non subito scatta la scintilla, ma quando i sogni contaminano la vita dell’altro è impossibile non farne parte. Passione e aspirazione muovono il mondo e anche i giovani innamorati verso le proprie destinazioni finali. Non sarà una strada semplice da percorrere perché la città degli angeli è di nascita castrante e le frustrazioni non mancheranno, ma in questo inno ai sognatori ad un certo punto le strade, gli Studios e le feste assumeranno una parvenza irreale da far sembrare Los Angeles un paradiso. 
 
Damien Chazelle non abbandona la passione per il Jazz e ci coccola con una colonna sonora, che sostanzialmente sorregge l’intera pellicola. Onirico di nascita, La La Land non è solo un ottimo esercizio di stile, è anche un film emozionale, che ci avvolge nella sua magia con riprese continue dove i tagli sono pressoché assenti. Il regista dimostra competenza con la macchina da presa portandoci con garbo nelle atmosfere della Hollywood che fu. Il prologo è un omaggio ai musical americani, un lungo piano sequenza che strappa applausi. La cinepresa danza a ritmo di musica.
Nello sviluppo della drammaturgia, curata anch’essa da Chazelle, vengono intrecciaci modelli di influenza tra il passato e il presente. Variabili che consentono alla narrazione di modernizzare il genere, portando un certo tipo di musical demodé accessibile alle nuove generazioni. Condivisione di una memoria che viene attualizzata. Nella parte centrale della pellicola vi è un leggero affossamento di ritmo ed alcuni snodi nella sceneggiatura sembrano essere troppo legati ai classici cliché. Ma la forza di La La Land sta proprio nell’uscire dalla buca della convenzionalità e sorprenderci con un finale che ribalta i concetti base del musical americano più radicale. Reale e sincronico senza perdere di vista l’aspetto poetico. Malinconia ed una non trascurabile dose di amarezza contaminano uno dei generi intoccabili di Hollywood, perché prima o poi la canzone finisce e l’apoteosi del ritornello deve arrendersi alle note più tristi. Mai drammatiche, con un assenso verso la positività di vivere che ringrazia dell’amore ricevuto.
 
Attentamente curato dal punto di vista estetico il film non si dimentica di omaggiare icone del passato: i migliori jazzisti, la musica anni 80, il tip tap, attori e locandine di meravigliosi film. 
 
Bisognerà aspettare fino al 2017 per vedere al cinema quest’opera, che potrebbe sembrare un po’ stramba, ma a conti fatti affascina con discreta eleganza. La La Land non si trascina, ma ci trascina in un mondo magico, che riapre i nostri cassetti della memoria legati a musical come West side story ed Un Americano a Parigi. La sua leggerezza potrebbe fare da trampolino per una vagonata di nomination all’Oscar 2017, sinceramente meritate.
 
David Siena
 

First Man

Martedì 04 Settembre 2018 22:27
First Man, diretto dal premio Oscar Damien Chazelle, apre la Mostra del Cinema di Venezia 2018. Quell’Oscar fu anche merito della direzione del Festival del 2016; allora come oggi gestita da Alberto Barbera. L’apertura affidata al musical La La Land fu senza dubbio una scommessa. Vinta con ampio margine. Quest’anno si ripunta sul giovane regista americano, che con la storia dell’allunaggio di Neil Armstrong promette di stupire ed allo stesso tempo di farci riflettere su temi non proprio consoni all’avventura nello spazio. 
Il film è l’adattamento della biografia ufficiale del primo uomo che mise piede sulla Luna: First Man-The Life of Neil A. Armstrong, scritta da James R. Hansen.
 
Neil Armstrong (Ryan Gosling – Blade Runner 2049) entra ufficialmente a far parte della Nasa nel 1962. Persona schiva, riservata e concentrata sul proprio mestiere di ingegnere, non è proprio l’amicone da feste e svaghi. Per lui alla base dei suoi interessi ci sta la famiglia. Purtroppo perde una figlia e questo tragico evento lo distrugge. Il rapporto con la moglie Janet (Claire Foy, ora al cinema anche con Millennium – Quello che non uccide) non è più lo stesso, ma non perduto. La reazione è tutta focalizzata sul programma Gemini. Il lavoro preciso e costante diventa il mezzo per cercare dentro di se una redenzione difficile da trovare. La sua perseveranza lo porta a diventare il comandante della missione Gemini 8. Neil diventa così il primo uomo mandato nello spazio. Ma come obiettivo ha la Luna, promessa alla sua famiglia come terra di miracoli. La preparazione ai viaggi spaziali è complicata e colma di incidenti. Molti colleghi di lavoro perdono la vita durante i collaudi. Sembra tutto perduto quando invece il famigerato satellite diventa realtà. L’Apollo 11 è sulla rotta verso la Luna e il 20 Luglio del 69’ Armstrong è il primo essere umano a calcare il suolo lunare. 
 
Ma poi siamo veramente andati sulla Luna? Al protagonista poco importa, dato che lui la sua Luna l’ha trovata. Ecco! Questo è in realtà il vero senso di questo lungometraggio. Un’opera intima, che mette in secondo piano per una volta il Sogno Americano. Il trentatreenne regista del Rhode Island conferma le sue ottime doti nella direzione di un grande progetto, confezionando un’opera poetica ed intensa. Sta alla larga dal cliché. Fa uso cospicuo della camera a mano portando lo spettatore direttamente sulla Luna. Quasi da realtà virtuale. Una vivida camminata on the Moon, intinta di veridicità. Le scene vivono di un’avvolgente dinamismo, intercalate da un senso serrato di claustrofobia. Chazelle ha sempre lo sguardo nel posto giusto e riesce a tirar fuori da ogni inquadratura la giusta anima. Se gli si deve fare un appunto può essere che, la prima parte del film lenta ed introspettiva, lasci lo spettatore un po’ fermo su se stesso, ma i minuti seguenti sono emozionanti e coinvolgenti, incalzati anche dallo strepitoso commento musicale di Justin Hurwitz (premio Oscar per La La Land).
Il giovane autore, grande conoscitore di cinema, si fa ispirare dalle tecniche nolaniane e non mancano citazioni kubrickiane. E se ci addentriamo nel dolore ci sono anche velature eastwoodiane.
 
Parte della critica trova in First man solo un buon esercizio di stile. Come dargli torno. Ma il film di Chazelle non è solo questo. Riesce a mettere in scena la realtà sconfinando nel fantastico, in modo da poterci consentire di sconfiggere i nostri incubi più ricorrenti legati al peso della vita. Così da risolvere l’irrisolvibile. Nello spazio che non aiuta nessuno, in questo luogo inospitale per l’uomo si trova paradossalmente se stessi. Una magia oscura, che è comunque sempre magia.
 
Ryan Gosling è perfetto per interpretare Neil Armstrong: una performance in sottrazione, introversa e da un certo punto di vista psicoterapeutica. Entra in analisi con se stesso per lenire il tremendo lutto e il suo disumano obiettivo conferisce una ragione alla sua esistenza e a quella dell’umanità. Claire Foy non da meno. Una nomination all’Oscar come attrice non protagonista non gliela toglie nessuno. E produttore esecutivo troviamo un certo Steven Spielberg.
 
David Siena
 

Babylon

Giovedì 19 Gennaio 2023 12:58
Il film ripercorre la storia di Hollywood e si concentra sul passaggio topico dal muto al sonoro. Il regista Damien Chazelle già vincitore dell’Oscar per il precedente “La La Land” in questo nuovo lavoro coniuga la sua risaputa passione per la musica con una lunga e intensa dichiarazione d’affetto per il cinema nella sua interezza. La sequenza finale è un inchino di ringraziamento sentito al mondo della celluloide che ha il potere ipnotico di attrarre, rapire e portare con sé in mondi paralleli  dai quali si può solo tornare sempre arricchiti e qualche volta anche trasformati, chiunque si avvicini. E’ la magia, è il sogno, è la mission dell’industria cinematografica che si trasforma , evolve, cambia pelle e nel contempo esalta e distrugge carriere e con esse le vite di chi le incarna, senza remore e rimorsi, al solo fine di stupire e sorprendere. Babylon è un film corale, popolato da una moltitudine di personaggi, fra i quali emergono come giganti Jack Conrad interpretato da Brad Pitt  e Nellie laRoy impersonificata da Margot Robbie. Un attore all’apice del successo ma in difficoltà nella gestione del cambiamento che lo show business impone il primo, una donna dalla smodata ambizione che cerca di farsi riconoscere star, lei che ci si sente dalla nascita, la seconda. In mezzo a loro un Diego Calva che colora il tuttofare Manny che sgomita alla ricerca ossessiva di un posto al sole sul set per riuscire a far parte di qualcosa di più grande.
 
Per tutti la parabola è la stessa. L’unico a riuscire a spezzare questa perversa catena e ad allontanarsi in tempo prima della fine certa è proprio Manny. Il cinema però è una calamita che lo riporterà indietro nel tempo e, attraverso i ricordi personali, si dispiegheranno anche, in una lunga sequenza di grande tecnica visiva che ricorda un pò il finale del nostrano capolavoro di Tornatore “Nuovo cinema Paradiso”, frames e spezzoni che hanno fatto la storia e hanno decretato il successo imperituro della settima arte. Il mondo del cinema nelle sue continue trasformazioni, capace di rinnovarsi costantemente per mettere in scena uno spettacolo sempre nuovo è il protagonista assoluto di Babylon.
 
Babylon, proprio come Babele, rea di essersi macchiata del peccato di hybris osando innalzare una costruzione che raggiungesse il cielo e pertanto punita da Dio e retrocessa a luogo perduto in cui regna solo confusione, è la metafora perfetta per la rappresentazione iconica dell’industria filmica sempre in bilico fra la promessa di una messa in scena ammaliante e i retroscena squallidi che le sono intrinsechi. Un film ambizioso che è un piacere guardare perché è maniacalmente confezionato ma che ha il solo difetto di non approfondire le storie umane che racconta. È tutto in funzione della rappresentazione scenica e la dimensione umana e psicologica dei personaggi rimane troppo in superficie.
 
Il film decisamente troppo lungo e a tratti ridondante mostra dietro la facciata pulita e profumata anche il retro bottega dove regnano sporcizia, fango, sudore, sangue, vomito, sesso, droga e ogni sorta di marciume.
 
Le scene dissolute, disturbanti sono un tripudio di dettagli dove nulla è lasciato al caso e sbattono in faccia allo spettatore il lato oscuro e torbido di un mondo all’apparenza fatto solo di luci sfavillanti. Questa città di carta che riproduce storie ha due facce e se la prima è scintillante la seconda è decisamente tetra.
 
La colonna sonora firmata ancora una volta da Oscar Justin Hirzwitz neovincitore del Golden Globe è una dama gentile che sorregge e accompagna con passo sicuro una visione incredibile, un mosaico composto da milioni di tessere incastrate alla perfezione per regalare al pubblico un disegno maestoso che lascia a bocca aperta.
 
Damien Chazelle, scena dopo scena, costruisce uno spettacolo pirotecnico strabiliante e staglia il suo Babylon come una cometa che passa veloce ad illuminare il cielo buio dell’esistenza terrena regalando l’illusione che si possano vivere vite diverse accompagnate da esperienze differenti.
 
Babylon è anche un meraviglioso viaggio a ritroso per capire meglio il presente attraverso un caleidoscopico ritratto di un’epoca, l’età d’oro della filmografia d’oltreoceano dove era tutto nuovo, sperimentale, innovativo, libero e potente.
 
Virna Castiglioni