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Visualizza articoli per tag: Alexandros Avranas

Miss Violence

Mercoledì 09 Ottobre 2013 10:24

Il giorno del suo undicesimo compleanno la piccola Angeliki – Clhloe Bolota - si lancia dalla finestra di casa sua, togliendosi la vita sotto gli sguardi attoniti dei suoi familiari vestiti a festa. Questo è il prologo di Miss Violence, presentato in concorso alla 70ª Mostra del cinema di Venezia e vincitore di ben quattro premi: il Leone d'Argento per la migliore regia, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile - a Themis Panou - il premio Arca Cinema Giovani come miglior film ed il premio Fedeora come miglior film dell'area Euro-Mediterraneo.

Il suicidio della ragazzina romperà l'apparente tranquillità della sua famiglia, portando a galla agghiaccianti verità. Le dinamiche di parentela rimangono confuse per quasi metà del film - chi è figlio di chi? - per poi venire alla luce mano mano, insieme al marcio che il capo famiglia - un superbo Themis Panou - si è ostinato a nascondere sotto il tappeto per troppo tempo. 
Quello che ne esce fuori è un nucleo familiare schiavo degli abusi di un padre padrone sessualmente deviato, che alleva figlie e nipoti per commercializzarne i corpi nel momento da lui ritenuto opportuno. 
Il regista greco Alexandros Avranas ci accoglie in casa del Male e ci fa sedere a tavola con lui, per condividerne gli attimi di quotidianità. 
Miss Violence è un'opera cruda, claustrofobica, una rappresentazione lucida della follia, lontana da qualsiasi retorica del film di denuncia. 
Ritmi lenti, inquadrature fisse, dialoghi asciutti, tutte scelte stilistiche finalizzate; perché il Male è prima di tutto assenza, privazione, silenzio. La privazione di dignità umana che la famiglia è costretta a subire dal proprio padre/nonno e il silenzio disperato con il quale lo affrontano. 
“La violenza più efferata è quella del silenzio. Del non detto” dice lo stesso Avranas.
Il dramma dei protagonisti è il dramma di un intero paese sull'orlo dell'abisso economico, che vede affondare l'ultima intoccabile istituzione a cui aggrapparsi: la famiglia. Distruggendo la facciata perbenista borghese, Avanas palesa il fallimento di quel modello di vita in cui troppi - e per troppo tempo - hanno riposto le proprie certezze. 
Ma se l'unico modello ritenuto possibile fino ad allora fallisse, cosa rimarrebbe? Questa è la domanda che lo spettatore si pone durante i titoli di coda, dopo l'enigmatico finale. La distruzione della figura patriarcale equivale alla fine dell'incubo o all'inizio di uno nuovo? Eliminando la causa del male si elimina automaticamente il male stesso che essa ha perpetuato per anni? 
Il film in sé non da risposte, ma stimola domande, attraverso la totale degenerazione delle dinamiche familiari e sociali. 
 
Angelo Santini